Franceschini giustifica chi ruba per bisogno
Il neo-segretario del Pd, Dario Franceschini, è arrivato a comunicare che, quando qualcuno ha bisogno, è giustificato a non pagare le imposte. Dal che ne deriva che chiunque avesse bisogno, a qualunque titolo, può diventare evasore senza che questo offenda il comune senso del pudore. Non pagare le tasse è proprio una questione etica, ma ancor più di convenienza.
Se i Governi, in questi 60 anni, avessero martellato l’opinione pubblica con continue campagne di educazione fiscale, probabilmente vi sarebbero stati, e vi sarebbero, meno evasori di quelli che vi sono. Sottrarre alle casse dello Stato 100 miliardi di euro di imposte l’anno è un danno per la grande maggioranza della popolazione che paga le tasse, ma è difficile migliorare la situazione senza prevenzione. E la prevenzione si fa con le campagne di stampa e televisive, oltre che nelle scuole, nelle quali si spiega come e perché pagare le tasse è giusto.
Ci sono i grandi evasori, quelli per intenderci che aprono i loro conti alle isole Cayman, nei Caraibi, attraverso istituti italiani che là hanno le proprie filiali. Ci sono piccoli e medi evasori che non pagano per principio. E allora qual è la leva contro questi meccanismi? È quella della convenienza. Deve convenire pagare le tasse, piuttosto che convenire a non pagarle. E la convenienza c’è nel momento in cui ogni cittadino che spende può dedurre, anche in piccola quota, le spese personali private, in modo da costringere il fornitore di servizi (perché è proprio nei servizi che si annida una grande evasione) a emettere la fattura.
Deve convenire al grande evasore pagare le tasse, perché può mantenere le sue risorse finanziarie in Italia non decurtate pesantemente come accade oggi. Una tassazione umana, ragguagliata a quella media europea o a quella degli Stati Uniti, indurrebbe di più a essere corretti contribuenti. E poi sconsiglia a essere buoni contribuenti la grande iniquità delle indetraibilità fiscali.
Per esempio, l’Imposta regionale sulle attività produttive (Irap) viene calcolata non tenendo conto del costo del lavoro e producendo quindi un’imposta su un costo e non su un ricavo. E, seconda iniquità, la stessa Irap non è deducibile dall’Ires (l’Imposta sul reddito delle società) per cui anche in questo caso si paga un’imposta su un’imposta e non su un reddito.
Al di là di queste storture, l’evasione si combatte con la repressione, attività che svolgono Agenzia delle Entrate e Guardia di Finanza. Ma qui l’attuale Governo ha aperto dei buchi, eliminando l’obbligo di utilizzare strumenti tracciabili (assegni, carte di credito, bonifici, ecc.) per qualunque transazione superiore a mille euro. E ha ripristinato invece il limite di 12500 euro entro il quale si può movimentare il denaro contante.
Proprio la tracciabilità di tutti i movimenti finanziari costituisce la fonte delle indagini, per cui se tutti i cittadini incassassero e pagassero mediante movimenti bancari che restano registrati e non in contanti l’evasione diminuirebbe parecchio.
Evasione in incremento, da quando molti hanno capito che questo Governo non intende stringere i cordoni del controllo. È vero che c’è necessità di fare cassa, ma senza perdere di vista che qualunque incremento delle entrate dev’essere strutturale e non contingente, come sono stati i dannosissimi condoni che più volte governi di centrodestra e di centrosinistra hanno attuato. Col che hanno favorito gli evasori cronici e furbi che non solo danneggiano l’erario, ma danneggiano anche i loro concorrenti, i quali, definanziandosi col pagamento delle imposte, hanno minori risorse per aumentare il volume dei loro affari.
Nel versante delle necessità finanziarie del Governo dobbiamo registrare la banalità demagogica di far pagare una tantum lo 0,5 per mille del reddito ai percettori con oltre 120 mila euro l’anno, che sono solo 200 mila. L’iniziativa avrebbe portato in cassa talmente poco da non soddisfare nessuno.
Non sembra che l’attuale Governo, in tema di evasione fiscale, voglia stringere la catena. Questo è male, perché si diffonde l’impressione che i furbi (oltre che i fannulloni) possano cavarsela.