Guerra a jeans strappati, canottiere e infradito, i dirigenti scolastici contro le nudità in classe lanciano il codice del vestiario anche sui social e invitano gli stilisti a creare una linea apposita
Niente abiti succinti a scuola: "non è una spiaggia; certo non è nemmeno una chiesa, ma ci va molto vicino, se è vero che culto e cultura hanno la stessa radice".
A scriverlo, in una circolare pubblicata sulla bacheca di un liceo scientifico di Bari, è stato il preside Giovanni Magistrale, dirigente dell’Istituto Arcangelo Scacchi.
Nella circolare il docente fa notare che "con il sopraggiungere delle giornate calde si verifica di frequente che molti studenti siano tentati di allentare per comodità i freni inibitori relativi all’abbigliamento, e così capita di assistere talora alla visione di nudità ascellari e inguinali, di pancini scoperti, gambe pelose maschili in mostra, sandali infradito, canottiere succinte, e altro genere balneare".
Poi precisa che "le sue raccomandazioni non vengono da un sussulto di puritanesimo vittoriano, ma dalla constatazione che comportamento e abbigliamento sono sempre in rapporto alle circostanze e ai luoghi: una cosa è la spiaggia, un’altra è una chiesa. La scuola non è una spiaggia; certo non è nemmeno una chiesa, ma ci va molto vicino, se è vero che culto e cultura hanno la stessa radice, e la scuola è sede di quel culto laico che è rappresentato dal sapere, dall’insegnamento, dall’educazione".
Di qui l’invito a indossare un abbigliamento consono.
Il preside Magistrale non è l’unico a dichiarare guerra all’abbigliamento scollacciato.
La dirigente dell’Istituto comprensivo Centro Storico di Moncalieri, vicino Torino, Valeria Fantini, nei giorni scorsi, ha addirittura promosso un sondaggio sui social.
"Chi sarebbe d’accordo nel vietare canotte, shorts e minigonne cortissime a scuola?", ha scritto. In risposta sono arrivati molti pareri favorevoli. La proposta del ‘dress code’ tra i banchi delle aule suscita pareri contrastanti.
"Siamo responsabili dell’educazione di questi ragazzi, un’educazione che dev’essere data a tutto tondo", ha spiegato Fantini. "Non è assolutamente oscurantismo. Si tratta di educare gli studenti ad abbigliarsi e a comportarsi a seconda del contesto".
La dirigente ha anche lanciato un appello: "vorrei invitare uno stilista che insegni come abbigliarsi adeguatamente, come essere alla moda, senza per forza trascendere nel cattivo gusto".
Questi dirigenti non sono comunque isolati: in un istituto di Milano si sono dovuti vietare addirittura i cappellini da rapper in classe, costantemente in testa agli alunni durante tutta la giornata di lezioni.
Pantaloni troppo stracciati e magliette minuscole, vengono prese di mira da più di un preside: "è la moda, ma non siamo in un’arena da concerto", ha fatto notare uno di loro.
Molti in giro per l’Italia hanno inviato circolari ricordando che le alunne e gli alunni devono evitare di andare in classe con pantaloncini, canottiere, bermuda e ogni altro capo di abbigliamento inadeguato al contesto scolastico.
A San Marino esiste già da anni un regolamento che richiama gli studenti delle superiori ad un abbigliamento decoroso e consono all’ambiente scolastico.
In alcuni casi gli studenti, per ribellarsi e schivare queste regole, si sono appellati al diritto alla salute (es. essere troppo coperti quando fa molto caldo può creare problemi) e addirittura alla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo.
La situazione non cambia nemmeno all’università: in un corso di Microeconomia a Torino, cita il portale Skuola.net, è richiesto di vestire con decoro e sobrietà, pena il mancato accesso nelle aule universitarie.
A dettare le regole un docente, con tanto di slide proiettate in aula.