Vi è difficoltà a capire se i nostri interlocutori hanno voglia di gonfiarsi il petto, ma di non farlo vedere, oppure se sono disposti a servire in modo personalmente disinteressato, senza sperare in riconoscimenti, medagliette, apprezzamenti o altre forme di concambio per ciò che fanno.
Abbiamo una lunga esperienza, dovuta a frequentazioni plurime di ambienti nei quali innumerevoli persone professano a parole l’umiltà, sotto forma di servizio. Possiamo ragionevolmente dire, dopo quarant’anni di tali frequentazioni che, in effetti, vi è tanta forma o ipocrisia e poca sostanza.
Il peggio è che la forma è più praticata da chi ha maggiori responsabilità e dovrebbe dare l’esempio di un comportamento veramente umile, alla portata di tutti gli interlocutori, con la conseguenza di effettuare un servizio vero, consistente nel dare senza nulla chiedere e senza nulla attendersi.
L’umanità arretrata ha bisogno del servizio e della solidarietà di chi ha raggiunto notevoli livelli di civiltà e di sviluppo. Meno di un terzo della popolazione umana sta bene ed oltre due terzi sta male. Purtroppo, chi sta bene non ha la tendenza ad aiutare chi ha bisogno, salvo mettendo a posto la propria coscienza con la beneficienza.
Chi vuole fare veramente il bene degli altri deve relegare l’atto di mettere mano al portafoglio in una posizione molto secondaria, mentre al primo posto deve esserci l’azione formativa, consistente nel fornire informazioni di civismo, da un canto, e competenze sui mestieri e sulle professioni, dall’altro. In parole più note, bisogna insegnare a pescare e a fornire le lenze, non a dare il pesce.
All’interno delle società progredite vi sono grandi differenze tra gli strati delle popolazioni, tanto che l’ottanta per cento della ricchezza è nelle mani del venti per cento delle famiglie. E, vedi caso, proprio all’interno di esse, tanti si professano umili, falsamente, per nascondere presunzione e vanagloria.
Sentiamo in tanti luoghi pubblici persone chiamate autorità, eccellenza e altre parole anacronistiche e fuori dal tempo. In una comunità democratica, o in un ambiente di servizio, nessuno può denominare autorità chicchessia, in quanto chi riceve un incarico da un’istituzione, da un’organizzazione burocratica, da un’associazione deve considerarsi mandatario e quindi subordinato ai mandanti, che sono i cittadini o gli associati.
Se è così, cittadini e associati stanno sopra, mentre gli incaricati, sotto. Come è possibile che questi ultimi vengano chiamati autorità e alcuni fra i primi gli si rivolgono prostrandosi, anche con tono di voce dimesso?
Non ci siamo! Le cose vanno così, ma dobbiamo dire che vanno male e dobbiamo scriverlo a chiare lettere, invitando ognuno a tenere la schiena dritta, a non umiliarsi, ma a essere umile veramente e non formalmente.
Nella Bibbia, Qoelet o Ecclesiaste (un predicatore) ricorda che c’è un tempo per ogni cosa. Chi è veramente umile sa che c’è il tempo in cui deve dimostrare di essere forte con i forti, senza alterigia o superbia e umile con gli umili.
Naturalmente, non vanno usate le armi fisiche, ma quelle della ragione e della tranquillità. Chi sa di essere del giusto non ha bisogno di alzare la voce né di adoperare coltelli e pistole, a meno che l’interlocutore non sia un bandito che capisca solo coltelli e pistole.
È difficile vivere così, ma si può fare.