Approvato dalla Regione l’elenco degli istituti non paritari riconosciuti con decreto dirigenziale. Quattro nel catanese, due nel messinese e palermitano; ma si vogliono stoppare i contributi
PALERMO – L’elenco delle scuole private non paritarie in Sicilia è piuttosto breve. Dal decreto di approvazione per l’anno scolastico 2018/2019, risultano, su tutto il territorio, undici istituti in tutto: nove scuole dell’infanzia, una scuola primaria e una scuola secondaria di primo grado.
Le caratteristiche di queste scuole sono ben definite dal decreto-legge 5 dicembre 2005, n. 250: non possono rilasciare titoli di studio aventi valore legale, né conferire l’idoneità a classi intermedie e finali. La regolare frequenza, tuttavia, costituisce assolvimento dell’obbligo scolastico. Pertanto, gli alunni non sono obbligati a sostenere ogni anno gli esami di idoneità alla classe successiva, ma al termine del ciclo (della scuola secondaria di I e di II grado) sosterranno gli esami di Stato, presso una scuola statale o paritaria. Qualora essi intendano iscriversi ad una scuola statale o paritaria, dovranno comunque sostenere, entro i termini annualmente previsti, gli esami di idoneità alla classe presso una scuola statale o paritaria.
Quattro istituti si trovano in provincia di Catania, due a testa nelle province di Messina e Palermo, e poi una in provincia di Caltanissetta, Ragusa e Siracusa. Si tratta di realtà sulle quali si torna periodicamente a discutere, con posizioni spesso contrapposte, per quanto riguarda la correttezza o meno dei finanziamenti pubblici a questi enti che, di fatto, sono completamente privati. Stavolta a riproporre l’argomento è stato Pino Turi, segretario generale della Uil Scuola. Il sindacalista confederale ha preso una posizione netta a favore della “scuola aperta e inclusiva: è questo il modello da valorizzare”. Assolutamente contrario, invece, al finanziamento delle scuole private non paritarie, per il quale, sostiene il sindacalista, deve valere il principio del “senza oneri per lo Stato”. E tutto questo perché solo la scuola pubblica garantisce l’integrazione.
“È guardando a questo modello di scuola – ha argomentato Turi – che possiamo superare la vocazione in atto alla separazione, agli elenchi, al censimento”, riferendosi quindi all’iniziativa presa del vicepremier e ministro del Lavoro Matteo Salvini a proposito dei campi rom. Poi Turi elogia le parole del neo ministro dell’istruzione: “Concordiamo con il ministro Bussetti: le scuole vanno aperte e non chiuse”, perchè “ogni scuola che chiude è un danno per la società, ma attenzione a non finalizzare le risorse dello Stato verso quelle paritarie a discapito di quelle statali. Bisogna evitare – aggiunge Turi ricordando Piero Calamandrei – che per fare vivere le scuole private si mandi in malore quella statale”.
Secondo il sindacalista confederale, quindi, alle scuole non statali non possono arrivare finanziamenti, soprattutto nei periodi di “magra” economica come quello che stiamo vivendo. Il suo, sembra un appello al governo appena insediato e che ancora deve mostrare per intero le intenzioni da intraprendere sul tema, anche se da alcune dichiarazioni rilasciate dal neo ministro, Marco Bussetti, non sembra cogliersi una chiusura con la politica degli ultimi anni, duranti i quali i vari governi che si sono succeduti hanno comunque sempre garantito fondi alle paritarie. “Rimettiamo in ordine le questioni – conclude Turi – la scuola della Costituzione, quella di tutti e di ognuno, svolge una funzione fondamentale per il futuro del Paese. Quelle private, rispondono ad un servizio a domanda individualizzata, e vanno garantite ‘senza oneri per lo Stato’, che può intervenire quando l’offerta formativa è insufficiente e la Costituzione non ne garantisce la diffusione”.