Inefficienza. Fiumi di denaro ai Cda e spazzatura nelle strade.
Amministratori inadeguati. La scelta dei manager è avvenuta sulla spinta della politica, senza considerare merito e competenze, come dovrebbe accadere in un’azienda privata.
Fondo di rotazione. Istituito con la legge regionale 19/2005, è il “trucco” per non dichiarare la bancarotta: si tappano le falle con i contributi elargiti dalla Regione attraverso i Comuni-soci
PALERMO – Le società d’Ambito continuano ad accumulare debiti senza che ne venga dichiarato lo stato di fallimento: i bilanci delle società sono contabilmente in regola, ma di fatto “dopati”, in quanto nelle voci attive vengono contabilizzati i crediti relativi alle bollette sui rifiuti non pagate dai cittadini. Queste, tuttavia, rincarate mediamente del 300%, non verranno mai pagate e quei crediti mai recuperati fino al termine di prescrizione: è quanto già accaduto per molte fatture del 2004, con sperpero di svariati milioni di euro. Un disastro su tutti i fronti, che si ripercuote, come al solito, sulla qualità dei servizi, che in questo caso restano pessimi.
“Centoquattordici milioni di euro prelevati dal fondo di rotazione e altri 270 milioni di anticipazioni ai Comuni”: oltre alla spazzatura per le strade a palesare la crisi del sistema Ato in Sicilia ci sono le cifre. Le ultime, snocciolate il 12 ottobre 2009 in occasione della Conferenza Regione-Autonomie locali da Gaetano Armao, assessore regionale alla Presidenza, costituiscono solo la punta dell’iceberg; un Iceberg, quello del sistema Ato, che non vuole affondare ma che scotta sempre più nelle tasche dei cittadini siciliani.
Alla sua base, le scelte del vecchio presidente della Regione Sicilia, Salvatore Cuffaro, nominato Commissario delegato per l’emergenza rifiuti in Sicilia nel 1999. Suoi infatti gli atti normativi all’origine di tutto: il Decreto commissariale n. 280/2001, seguito dalle Ordinanze Commissariali n. 488/2002 e 1166/2002.
Con il record di ben 27 Ato distribuiti in nove Province, per poco più di 5 milioni di abitanti, il raffronto con altre realtà è impietoso: la Lombardia, dieci milioni di abitanti, conta infatti 12 Ato per quante sono le province, così come l’Emilia Romagna, poco più di 4 milioni di abitanti in 9 province, ne conta solo 9. Numeri che rivelano la logica spartitoria che ha dato l’imprinting ad un sistema fatto di società d’Ambito ormai in profonda crisi finanziaria e senza alcuna capacità di garantire il servizio: un indicatore per tutti, la percentuale di raccolta differenziata, bassissima anche a confronto con il resto del Sud Italia. Sistema anomalo nel numero e nella natura dei propri soggetti: gli Ambiti territoriali ottimali sono infatti gestiti da Spa a capitale pubblico, i cui unici soci sono i Comuni e le Province che, tuttavia, non esercitano alcun reale controllo sui Cda. L’inserimento della forma privatistica nella gestione di un servizio pubblico basilare, come quello dei rifiuti, ha costituito una scelta quanto meno singolare; sempre in Lombardia è stata scelta ad esempio la forma della convenzione di cooperazione tra Comuni e Province senza la creazione di alcuna sovrastruttura, mentre in Emilia sono state create semplici agenzie presiedute dagli stessi presidenti delle Province.
I conti sono presto fatti. 27 consigli d’amministrazione con sette consiglieri ciascuno: solo nel 2006, la spesa complessiva per il loro mantenimento ha sfiorato i cinque milioni di euro. Per fortuna, poco dopo la legge nazionale ha ridotto i componenti dei cda in tutte le societa a partecipazione pubblica. Ma il danno ormai era fatto. Tutto denaro pubblico: né la scelta degli amministratori ha premiato merito e competenze, come ci si aspetterebbe in una Spa.
La Corte dei Conti è stata esplicita sulle Ato: “non hanno – si legge nella relazione che accompagna la delibera n. 32/2008 – alcun know how né alcuna managerialità, né alcuna esperienza, né mezzi, in quanto strutture promosse da pubbliche amministrazioni, raccogliendo proprio personale e propri vecchi mezzi, e creando delle governance di scelta sostanzialmente politica”.
Scelte tutte politiche, che hanno dato vita ad un sistema privato che però succhia denaro pubblico, attraverso lo strumento del Fondo di rotazione per le emergenze rifiuti, istituito con L.r. 19/2005 per mettere una pezza sulle criticità del sistema Ato. Un “carrozzone politico” contro cui risulta vano ogni tentativo di riforma: dapprima il Lombardiano Dprs n. 127/2008, che ridisegnava gli ambiti territoriali facendoli coincidere con i territori delle Province (che avrebbero dovuto costruire dei consorzi con i Comuni), poi affossato dal successivo Dprs n. 260/2008, ed ora il ddl di riforma delle Ato, varato il 2 febbraio 2009, ma bloccato dalla crisi della maggioranza all’Ars.
Nel frattempo, le società d’Ambito continuano ad accumulare debiti senza che ne venga dichiarato lo stato di fallimento: i bilanci delle società infatti sono contabilmente in regola, ma di fatto “dopati”, in quanto nelle voci attive vengono contabilizzati i crediti relativi alle bollette sui rifiuti non pagate dai cittadini. Queste, tuttavia, rincarate mediamente del 300%, non verranno mai pagate e quei crediti mai recuperati fino al termine di prescrizione: è quanto già accaduto per molte fatture del 2004, con sperpero di svariati milioni di euro.