Sandro Castellana: "I progetti per il territorio al centro dell'attività sociale" - QdS

Sandro Castellana: “I progetti per il territorio al centro dell’attività sociale”

Paola Giordano

Sandro Castellana: “I progetti per il territorio al centro dell’attività sociale”

sabato 22 Dicembre 2018

Forum con Sandro Castellana, direttore internazionale Lions International

Sul piano strettamente sociale come vede l’andamento della società lionistica italiana in questi ultimi vent’anni? È una società più colta o più ignorante?
“L’attuale società è fatta di molte facce. C’è quella più conservatrice, in termini di azione, in cui non c’è innovazione e incapace di accorgersi come tutto sia cambiato: non soltanto le situazioni, ma anche la disponibilità di risorse, ridotte rispetto a quelle di vent’anni fa. C’è poi una faccia che tenta di stare al passo con i tempi: ci sono più professionalità, molta più inventiva, specialmente nelle persone più giovani. Le nostre associazioni di servizio stanno diventando meno elitarie rispetto al passato, quando quell’elite svolgeva un’azione sociale molto mirata all’utilizzo di risorse altrui e poco operativa. Non ci si impegnava con le mani e con le proprie esperienze e capacità, ma si facevano grandi proclami dando del denaro ad altre associazioni che realizzavano qualcosa nel territorio. Oggi questo è molto cambiato: c’è grande voglia di impegnarsi come service, anche in cose piccole o medie ma utili per il territorio, cercando di capire quali siano le necessità di quest’ultimo. In passato succedeva spesso che venivano fatti dei progetti non perché ce ne fosse un reale bisogno ma perché c’era l’idea che quel particolare progetto servisse. Si realizzavano quindi delle cose che, alla fine, non davano un beneficio reale alla Comunità. Mancava, in sostanza, la cultura dell’indagine sui bisogni del territorio. Adesso si cerca un po’ più di capire dalla Comunità, dalle Istituzioni, dalle altre associazioni di cosa ci sia bisogno. Questa è la chiave del cambiamento nel mondo del volontariato”.
 
 
Specie in virtù del fatto che la spesa pubblica aumenta ma, al contempo, paradossalmente, serve di più l’azione del volontariato…
“Esatto. Sono le stesse Istituzioni a dirci che se non ci fossero le associazioni di volontariato non riuscirebbero a soddisfare alcuni dei bisogni locali”.
 
Da un canto ci sono quindi le necessità palesate dalle Istituzioni, dall’altro le associazioni che però non sempre guardano a quei reali bisogni, non trova?
“Le associazioni generaliste come quella dei Lions, che si occupa di sanità, cultura, arte, territorio, ambiente, nell’individuare i bisogni a volte non hanno tutti i riferimenti. Ci focalizziamo a volte su questioni che sono meno rilevanti di altre e necessiterebbero di maggiore attenzione. Affrontiamo dei progetti senza avere tutte le risorse necessarie, mentre ci sarebbero altre iniziative per cui abbiamo all’interno dei nostri club, in base alle competenze dei singoli soci, maggiori strumenti. Quindi, per sviluppare un progetto va fatta una valutazione oggettiva: da una parte sui bisogni; dall’altra, e parallelamente, sulle capacità di gruppo, di club”.
 
Meno convegni, più concretezza, insomma…
“Se il convegno serve a far sapere che cosa possiamo fare e a raccogliere altre persone che Lions non sono ma che condividono i nostri progetti, per incrementare quello che facciamo, ben vengano. Altrimenti, se è solo per parlare, non ha senso”.
 
 
Ci sembra però che questi indirizzi di ordine generale non sempre arrivano sul territorio e, soprattutto, di rado vengono recepiti. Che ne pensa?
“Le strutture di formazione che abbiamo dovrebbero lavorare più sull’attività di service, attraverso il seguente processo: pensare un’idea; valutare quali tipologie di risorse si hanno a disposizione; stilare un programma che abbia un piano d’azione in cui si sappia chi debba occuparsi di cosa e con quali scadenze; monitorare la realizzazione con verifiche intermedie; arrivare al completamento del progetto. Naturalmente, raggiunto l’obiettivo, bisognerà effettuare anche verifiche a posteriori, perché se un progetto completato si abbandona a se stesso, cessa il beneficio prodotto. Ogni progetto è del club, o di tutti i club che lo realizzano insieme, a prescindere dal presidente in carica in un particolare anno sociale. È necessaria dunque una programmazione a lungo termine. Questo non sempre avviene perché l’idea di club di servizio non per tutti è quella di un club di solidarietà sociale, in cui si sviluppano progetti, ma è quella del club all’inglese, dove ci si riunisce due volte al mese, si va a cena, si ascolta un relatore interessante. Di un club, dunque, dove la finalità è semplicemente incontrarsi. In quel caso l’attività di servizio è sì una cosa che si fa, ma in modo marginale. Non è il fulcro delle attività. Bisognerebbe trovare un equilibrio tra le due cose, perché è importante ritrovarsi ma questo va fatto principalmente per parlare di progetti da realizzare”.
 
I giovani stanno cambiando il modo di essere dei Lions?
“Quando i giovani entrano nel club non sempre trovano una realtà aperta alle innovazioni, alle idee diverse. Capita, a volte, che difficilmente venga lasciato loro spazio per realizzare progetti”.
 
È una mancanza di meritocrazia?
“Implicitamente lo è. La valutazione che il club fa quando ammette una persona è prevista dagli Statuti. Il nuovo socio deve essere di ottima condotta morale, riconosciuta dalla società, ma deve avere anche una spiccata attitudine al servizio, deve essere una persona che voglia fare qualcosa per gli altri. Se all’interno del club non la si coinvolge nei progetti o, peggio ancora, la si frena, questa diventa una responsabilità del club che da una parte invita una persona a farne parte e dall’altra la lascia in stand-by. Questo è uno dei motivi per i quali, statistiche alla mano, nei primi tre anni di associazione molti soci vanno via. Se non sono coinvolti da subito e non trovano un ambiente favorevole alle loro aspettative di fare qualcosa, perdono l’entusiasmo e abbandonano. Chi si associa su invito di qualche amico già all’interno del club con la semplice prospettiva di fare qualche cena al mese e ritrovarsi tra conoscenti, trova esattamente questo e quindi si trova benissimo e non va via, ma non è la persona che aiuta a sviluppare progetti, che ha l’idea innovativa per fare qualcosa di diverso. Dipende tutto dalla fisionomia che il singolo club si è dato e soprattutto dalla volontà o meno del club di fare un salto di qualità. Se esso negli anni ha inserito persone di età più giovane, creando un ventaglio di età diverse, di generazioni diverse e non rimanendo ancorato ad associati agè, si crea una facilità maggiore nell’accettare le idee nuove e le innovazioni. Così si crea un miglior equilibrio all’interno del club, proprio perchè, non creando scaglioni generazionali, si ha la possibilità di fare affidamento su un gruppo eterogeneo ma coeso. Dovrebbe essere responsabilità del club capire e promuovere questo tipo di approccio”.
 
 
Come funzionano le cose nel resto del mondo?
“L’impostazione che hanno i club del resto dell’Europa non differisce molto da quella italiana, anche se nei Paesi settentrionali il lionismo è un po’ più operativo: si sviluppano più progetti in mezzo alla gente. Negli Stati Uniti questo è più esasperato, nel senso che si svolgono sostanzialmente solo attività di servizio. Ciò è dovuto al fatto che lì l’assistenza è meno coperta dalle Istituzioni rispetto a quanto succede da noi, specialmente in ambito sanitario. Le attività che vengono svolte sono molto manuali, perché di quello le comunità locali hanno bisogno: ritinteggiare le pareti dell’asilo, la staccionata di una scuola e così via”.
 
E la situazione dell’Oriente?
“In Oriente ci sono contrasti molti grossi: in India, per esempio, abbiamo due livelli estremi di ricchezza e povertà. I Lions o gli appartenenti ad altre associazioni di volontariato, avendo grosse disponibilità economiche, fanno grandi progetti, che comprendono la costruzione di edifici, l’acquisto di macchinari all’avanguardia e altro ancora. Progetti ambiziosi, come la banca degli occhi, che in Italia fatichiamo a realizzare. In India ci sono oltre 260 milioni di bambini e quasi 100 milioni di loro non ricevono alcun tipo di istruzione. Si tratta di un problema enorme! Per poter ottenere risultati tangibili serve uno sforzo congiunto, non basta quello dei soli Lions: ecco allora che una partnership fra Lions e Round Table ha permesso in tutta l’India, dal 1998 a oggi, di attrezzare complessivamente circa 2.500 scuole in cui finora più di 6.000.000 di bambini hanno ricevuto istruzione e imparato a leggere e scrivere. Forse è una goccia nel mare, ma tutti quei bambini avranno un futuro migliore”.

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