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Felici anche da poveri… basta avere i soldi!

Aguzzare l’ingegno per diventare ricchi

Ricordate un vecchio film con Renato Pozzetto, “Un povero ricco” (1983), in cui interpreta un facoltoso imprenditore che cominciò a condurre la vita da povero pensando di riuscire a cavarsela? Beh, non vi riuscì e ritornò alla sua vita agiata concludendo il film con una frase lapidaria: “Si può essere felici anche da poveri… basta avere tanti soldi!”.
La trama della pellicola è uno spaccato della società degli anni ‘80, ma la situazione economico-sociale non solo non è cambiata, ma è addirittura peggiorata in quanto la statistica sui poveri ne registra un numero superiore, anche per effetto dell’aumento del livello in base al quale si definisce povero chi oggi percepisce poco più di 9 mila euro all’anno, almeno secondo l’Istat.
Nel nostro Paese, tuttavia, vi è un’enorme evasione fiscale e un’abnorme diffusione del lavoro nero, cioè di quello che non appare. Non solo perché il nostro è un Paese di furbi e furbetti, ma anche perché i sistemi di controllo della Pubblica amministrazione sono arretrati e non in condizione di sorvegliare le attività economiche.
 
La povertà è stata una bandiera della campagna elettorale del Movimento pentastellato perché quel furbacchione di Grillo, che ha una particolare sensibilità mediatica, ha capito che l’argomento poteva portare tanti voti. Infatti, comunicando che vi sono sei milioni di poveri – un dato falso – con molta probabilità il Movimento ha acquisito altrettanti suffragi.
Salvini ha usato la bandiera della riforma pensionistica per acquisire qualche milione di preferenze, pur sapendo che il sistema previdenziale italiano non riuscirà a sostenere questo ulteriore onere. In più, infischiandosene della pensione dei giovani che, quando fra 30 o 40 anni andranno in quiescienza, troveranno un ben magro assegno.
La differenza tra politici improvvisati – che cercano di sfruttare l’ignoranza dei cittadini, anziché tentare di formarli ed educarli – e gli statisti sta proprio nella capacità di far approvare leggi di riforma che inevitabilmente scontentano tanti fannulloni, numerosissimi, ma che hanno efficiacia nel medio periodo.
Così ha fatto la Germania nel Duemila ed oggi ha i conti in ordine, sia sul piano previdenziale che su quello economico-sociale.
 
La questione della povertà si risolve facendo aumentare la ricchezza del Paese e cioè il suo Prodotto interno lordo, che solo dopo si distribuisce. La povertà, invece, non si distrubuisce, si può solo condividere tra poveri. Ma questa non è la soluzione del problema.
Per fare crescere il Pil – non col miserevole 1%, ma nell’ordine del 3/4% come stanno facendo altri Paesi europei, gli Stati Uniti e ancor più la Cina – occorrono investimenti pubblici in infrastrutture e investimenti privati in attività produttive.
Le imprese vanno sostenute, non vessate o asfissiate da adempimenti burocratici e fiscali che sottraggono tempo al lavoro attivo e risorse a nuovi investimenti.
Non solo imposte e tasse sono enormi rispetto ai partner europei, ma anche per eseguire tutti gli adempimenti inerenti occorrono risorse per consulenti, sistemi informatici ed altre spese che costituiscono un peso inutile, anzi dannoso per le attività produttive.
 
La ricchezza dell’Italia è il suo sistema produttivo che dovrebbe essere potenziato e sostenuto, invece che avversato. I dipendenti privati sono parte importante e integrante del sistema produttivo, ma essi sono maltrattati da un sistema di dipendenti pubblici menefreghisti e irresponsabili, che percepiscono stipendi, indennità e addendi diversi, senza che i compensi siano collegati ai risultati.
In altri termini, nella Pubblica amministrazione, manca il principio della correlazione fra produttività e compensi, com’è invece rigorosamente presente nel sistema privato.
Il pubblico e il privato dovrebbero essere in concorrenza e, invece, il primo vessa il secondo, anche in maniera parassitaria, traendone risorse finanziarie per se stesso e sottraendole alle attività produttive.
“Si può essere felici anche da poveri… basta avere tanti soldi”, ricordava il citato film, ma i poveri possono diventare ricchi, qualora lo vogliano e mettano in atto tutte le risorse personali di cui dispongono.
Con i soldi non si forma il cervello, ma con il cervello si fanno i soldi. Ricordiamocelo!