Trasparenza. Nessuna informazione sull’attività degli enti.
La normativa. La L.r. 9/86 e la L.r. 26/93: “Ogni sei mesi il presidente presenta una relazione scritta in Aula”. Secondo il D.lgs. 267 del 2000 al Consiglio provinciale spetta il controllo.
Risultati sconcertanti. Nelle nove istituzioni sovracomunali soltanto un presidente si è presentato in Aula per rendere conto del suo operato sul piano politico e amministrativo
Palermo – Dopo le pagelle ai sindaci, è arrivato il momento di alzare le palette anche nei confronti dei presidenti delle nove Province regionali. Il tema è sempre quello della trasparenza degli atti pubblici e dell’azione di controllo sulla presidenza operata dai Consigli provinciali. E i risultati sempre più sconcertanti.
Secondo il D.lgs. 267/2000 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali) “il Consiglio provinciale è l’assemblea pubblica rappresentativa di ogni Provincia. Al Consiglio provinciale competono l’indirizzo, il controllo politico ed amministrativo, la programmazione e l’approvazione degli atti di impegno economico finanziario”.
Responsabilità non da poco, che per non rimanere sulla carta dovrebbero concretizzarsi tramite atti pubblichi, certificazioni, documenti. Tra questi, assume certamente una valenza strategica la relazione semestrale che ogni presidente di Provincia deve obbligatoriamente presentare al Consiglio per una valutazione del proprio operato. Lo stabilisce tassativamente l’art. 210 del “Testo Coordinato delle Leggi Regionali relative all’ordinamento degli enti locali”, dal titolo “Attribuzioni del Presidente” (già contenuto nella legge regionale n. 9/1986 art. 34 e nella 26/1993 art. 24): “Ogni sei mesi il Presidente presenta una relazione scritta al Consiglio provinciale sullo stato di attuazione degli atti programmatici e sull’attività svolta. Il Consiglio provinciale, entro dieci giorni dalla presentazione della relazione, esprime in seduta pubblica le proprie valutazioni”.
“Presenta”… “esprime”… voci verbali al presente indicativo che non si addicono per niente alla realtà dei fatti. Perché su nove province regionali, nell’ultimo semestre tale relazione semestrale è stata redatta e successivamente sottoposta al Consiglio per il controllo previsto dalla legge solo a Siracusa. Nel resto dell’Isola il silenzio, la clandestinità, la confusione dei ruoli.
Abbiamo già espresso tutte le nostre perplessità sull’argomento nell’inchiesta che riguardava i Consigli comunali, ma in questa sede ci sembra opportuno ribadire quello che riteniamo un concetto chiave.
Quando infatti i presidenti di Province importanti come Catania o Messina (non a caso abbiamo scelto loro perché da una stramba classifica di gradimento sono risultati il primo e il secondo su scala nazionale) si rifiutano di adempiere ad un obbligo previsto dalla legge per garantire al cittadino che ogni azione intrapresa all’interno dei “palazzi” sia esclusivamente nell’ottica di un interesse collettivo, ci rendiamo facilmente conto di quanto qualsiasi ruolo istituzionale sia andato a perdere il proprio significato originario, fuoriuscendo dai sacri binari dettati dal nostro sistema democratico.
In quale forma di stato, infatti, chi detiene il potere non deve rendere conto a nessuno delle proprie scelte, nemmeno ai rappresentanti dei cittadini? I politologi chiamano questa circostanza “mancanza di responsabilità”, e la considerano una delle cinque caratteristiche dei regimi autoritari. Troppo forte dire che stiamo scivolando verso forme autoritarie di gestione del potere, anche se è evidente? Bene, almeno ci sia consentito esprimere una considerazione molto più “terra terra”: che senso ha mantenere un Consiglio provinciale se questo non viene portato a conoscenza delle scelte della Giunta e non può così tutelare gli interessi della comunità che rappresenta? Uno solo, ovvero mantenere un grasso stipendio a quei 30, 40 o 50 consiglieri che, senza protestare, accettano di veder ridicolizzato il proprio ruolo a quello di semplici spettatori della cosa pubblica.
Così succede a Messina, a Palermo, a Ragusa e in ogni altra provincia siciliana esclusa Siracusa. Per non parlare dei casi limite di Catania e Caltanissetta, dove l’obbligo della relazione semestrale, sancito da leggi nazionali e regionali, non è previsto nemmeno dagli statuti provinciali.
Nella provincia etnea, addirittura, il segretario particolare del presidente, Giuseppe Ferrario, ci dice con convinzione che per quanto riguarda le Province quello della relazione semestrale al Consiglio non è un obbligo ma un’azione opzionale, un “di più”, una concessione.
Cosa dobbiamo pensare: che non conoscano le leggi, o che le interpretino secondo il principio della “mancanza di responsabilità” di cui sopra? E di conseguenza: tutti noi che del mondo dei “palazzi” non facciamo parte, siamo considerati cittadini o sudditi?