è del tutto evidente che il tempo a disposizione di chi lavora ha un limite fisico in otto-dieci ore. Per alcuni stakanovisti estensibili a 14 o 15. Non si capisce come dipendenti e dirigenti pubblici possano avere incarichi addizionali al loro normale lavoro, senza abbandonarlo. In altre parole, o fanno l’uno o fanno l’altro. Invece, sembra che abbiano la capacità di moltiplicare le ore, tutte le ore necessarie a svolgere il proprio lavoro ordinario e quelli degli incarichi fuori dal loro ambiente.
Sembra, diciamo, perché in effetti se un dirigente regionale è commissario, poniamo, del Cas di Messina, non può contemporaneamente fare il proprio lavoro a Palermo e quello supplementare a Messina, non avendo il dono dell’ubiquità.
Tutta la materia che precede rientra nella logica del servizio. Significa che chiunque riceve compensi per il proprio lavoro dev’essere disponibile a realizzarlo con flessibilità e disponibilità a servire la collettività. Questo principio non è molto diffuso, ma sarebbe opportuno che i vertici istituzionali, ciascuno per la propria competenza, i sindaci e anche i presidenti delle Province siciliane incostituzionali dessero queste tassative istruzioni.
Anche in questo ambito vige l’ignominiosa legge del favore, teso ad ottenere l’incarico qui o là in modo da poter lucrare sulle asfittiche e magre casse pubbliche. In questa logica è da sottolineare con grave preoccupazione la liquidazione della pensione all’ex dirigente dell’Arra, Felice Crosta, con un assegno di quasi 500 mila euro all’anno. Questi pochi esempi fanno capire perché la Sicilia non cresce con tutte le uscite di bilancio ingessate.
Comprendiamo che la lotta ai privilegi è durissima, perché i privilegiati hanno voce, nome e cognome, e sono in condizioni di esercitare pressione e ricatti nei confronti di chi, avendo scheletri negli armadi, non può fare alcuna resistenza. Mentre i cittadini, costituendo una massa non definita, non hanno voce e sono quindi i quotidiani e le televisioni che devono prestargliela.
Un compito improbo e antipatico perché la difesa dei siciliani comporta l’evidenziazione dei privilegiati. I quali reagiscono vilmente (perché non possono farlo ufficialmente) con colpi di coda e pugnalate alle spalle. Essi non ricordano che se la verità ferisce, non è colpa di chi la dice, ma della verità stessa.
Gli assessori regionali proclamano l’urgenza di tagliare le spese, ma non dispongono di coltelli affilati, solo di parole che il vento disperde. Mentre è indispensabile che ognuno di essi faccia fronte alle proprie responsabilità con atti concreti, comunicati giornalmente ai siciliani.