La nomina di Mauro Masi a direttore generale della Rai, decisa da Berlusconi a Palazzo Grazioli e ratificata dal consiglio di amministrazione è l’esempio del decisionismo del presidente del Consiglio, il quale sta pian piano sistemando tutte le leve di comando in modo tale che il suo indirizzo venga eseguito senza discussioni. Egli si sta comportando, di fatto, come il capo di una Repubblica presidenziale.
Non sembri blasfemo affermare che in Italia, piaccia o non piaccia, per modernizzare il Sistema-Paese, è necessario un dirigismo di tipo cinese, in modo da velocizzare la realizzazione di opere pubbliche e di riforme, quantomeno in tempi europei.
Comprendiamo tutte le osservazioni e i rilievi dei costituzionalisti e di coloro che auspicano una democrazia vera, ma proprio in nome di essa questa Nazione non è avanzata come le altre e oggi deve tentare di recuperare un divario notevole.
Mauro Masi è un commis di grande valore che ha operato a fianco di responsabili istituzionali di destra e di sinistra, quindi meritevole dell’incarico. Tuttavia, dobbiamo sottolineare come egli abbia lavorato in quest’anno nella funzione di segretario generale della Presidenza del Consiglio, in pratica alle dirette dipendenze di Berlusconi. In vulgo, potremmo dire che il segretario di Berlusconi è passato alla Rai. Augusto Minzolini, giornalista de La Stampa, cioè dominio Fiat, è stato nominato direttore del Tg1, ma sulla sua testa è stato inserito l’ex direttore del Tg2, Mauro Mazza al vertice della rete ammiraglia.
Dunque, la Rai così com’è, salvo il terzo canale occupato dalla sinistra, è diventata di fatto complementare al gruppo Mediaset. Nessuno ci racconti chiacchiere sull’indipendenza dei giornalisti, perché dentro il carrozzone di Saxa Rubra indipendenza non ve n’è mai stata.
Non contento di ciò, Berlusconi minaccia i grandi quotidiani perché non lo affiancano, ma lo criticano. Questo è sicuramente eccessivo e a lui non conveniente, perché in ogni caso bisogna che risulti evidente una parte dell’opinione pubblica che la pensa diversamente da lui stesso.
Cosa significa l’allineamento dell’informazione del servizio pubblico con quella delle tre reti Mediaset? Significa che di fatto le dissonanze mediatiche sono ridotte al lumicino perché solo la piccola La7 non è controllata direttamente o indirettamente da Berlusconi.
Lo stato di fatto, supera quello di diritto. Questo perché il carrozzone Rai, cioè la spa controllata dal Ministero dell’Economia, assorbe una serie di costi impropri che dovrebbero sostenere altri. Col che si tacitano tante forme di protesta, le quali rimangono mute.
In Francia, il Presidente Nicolas Sarkozy, ha eliminato la pubblicità dalle 20,30 delle sera a Tf1, il più importante canale televisivo transalpino, in modo da sganciare la ricerca esasperata degli ascolti e immettere programmi di qualità. Non sappiamo ancora se l’esperimento riuscirà. Ma anche la potente Bbc britannica, unico canale pubblico, non può avere pubblicità.
Da anni si discute intorno alla Rai che ha ben 11 mila dipendenti fra cui 2 mila giornalisti contro meno di 4 mila dipendenti Mediaset. Lo spreco è all’ordine del giorno: il direttore generale Meocci, per 10 mesi, ha ricevuto 19 milioni di euro. Un vero scandalo. Note spese senza giustificativi, gente che parte e che torna spendendo e spandendo, costituiscono un ambiente contro la necessità del Paese di stringere i costi.
Si discute di vendere un canale ai privati, concentrare la pubblicità su un altro canale e lasciare quello più importante senza spot, in modo da sgombrarlo di tante banalità e amenità e di farlo funzionare in base a un indirizzo che traini la cultura dei cittadini, li faccia riflettere.
In altre parole, un canale ove sia ben distinta l’attività informativa, fatta di inchieste, da quella ludica che può essere lasciata ai canali commerciali. Ma da quest’orecchio non solo il ceto politico, ma anche le corporazioni di vario genere, non ci sentono e dunque il baraccone pubblico continua a essere né carne e né pesce.