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Catania – Tante chiacchiere, niente progetti il mare resta una risorsa sprecata

Melania Tanteri

Catania – Tante chiacchiere, niente progetti il mare resta una risorsa sprecata

mercoledì 02 Giugno 2010

Tra i nodi da sciogliere quello relativo al Prp, che sin dalla prima stesura, ha scatenato molte polemiche. Evidente la difficoltà nel riuscire a mettere insieme molte idee diverse

CATANIA – Da quando si parla di waterfront, ovvero del prospetto mare della città di Catania, le posizioni assunte dai vari soggetti – imprenditori, istituzioni, associazioni e privati cittadini – sono sempre state differenti, quasi dicotomiche. Nessuna eccezione, dunque, relativamente al dibattito sull’argomento “Linea d’Acqua: lava, porto, linea di cambio”, organizzato nell’ambito degli Stati generali del Comune di Catania sabato scorso al Palazzo della Cultura.
E se i relatori, chi più chi meno, sono partiti tutti dall’assunto che la città di Catania ha bisogno di recuperare il rapporto con il mare, da cui è separata da diversi ostacoli – la linea della ferrovia, gli archi della marina, la recinzione del Porto, fino alla fila di stabilimenti balneari che, di fatto, impediscono la vista della costa sabbiosa – sono le conclusioni ad essere differenti, a tal punto da risultare quasi incompatibili.
Il dibattito ha preso il via dalla dettagliata relazione del professor Riccardo Dell’Osso, direttore del Laboratorio di progettazione per il paesaggio urbano e la mobilità (Labppum) del Dipartimento di Architettura e urbanistica dell’Università di Catania. Dell’Osso ha illustrato alcune riflessioni sul rapporto che altre città europee hanno con il mare, sottolineando i punti imprescindibili per la progettazione, tra i quali avere una visione complessiva del progetto, ripensare la mobilità, assicurare la vista del mare, ma tutto ciò non è sfociato in nessuna proposta reale, dal momento che ogni relatore ha messo in evidenza la propria concezione di waterfront.
Pensarlo e riprogettarlo waterfront nell’ambito della pianificazione generale, e dunque all’interno del nuovo Piano regolatore, la priorità per i rappresentanti degli Ordini professionali degli ingegneri e degli architetti. La riqualificazione dell’acqua e della costa, una progettazione ecosostenibile, e il rispetto delle regole e della legalità dalla foce del Simeto a Ognina quella per Legambiente e Greenpeace. Mentre ridurre tutto ciò che ostruisce la fluidità veicolare è il primo passo da compiere per l’assessore comunale alla Mobilità Alberto Pasqua, che ha parlato della continuità viaria come la priorità per recuperare il rapporto fra mare e città.
Tra i nodi più difficili da sciogliere, quello relativo al porto e al Piano regolatore portuale che, sin dalla sua prima stesura, ha scatenato perplessità e polemiche, tanto da essere stato respinto dal Consiglio comunale.
Al centro del dibattito, la doppia valenza del porto, a vocazione mercantile da una parte, spazio pubblico che dovrebbe essere restituito alla fruizione dei cittadini dall’altra. Se da un lato, infatti, il direttore dell’Autorità portuale, Massimo Sapienza, rivendica la centralità del ruolo commerciale, difendendo il Prp e negando che questo preveda la cementificazione selvaggia, il comitato cittadino “Porto del Sole” e altre associazioni, sottolineano la reale volontà di “snaturare le funzioni portuali trasformando in modo anomalo le finalità di questa importantissima infrastruttura, tradendo la vocazione turistica e quindi lo sviluppo del territorio”.
 


Le potenzialità dal punto di vista turistico
 
CATANIA – “Dobbiamo pensare al waterfront catanese come grande opera per la città o per il turismo?”
Questa la domanda avanzata dall’associazione di consumatori Adoc di Catania in occasione del seminario degli Stati generali . “Pensarlo in chiave turistica – secondo i rappresentanti del sodalizio – può essere un modo per dare ai catanesi una città migliore”.
L’ipotesi è quella di un waterfront basato sul principio che la ferrovia non sia più dentro la città, il che renderebbe lo spazio disponibile capace di accogliere almeno 500 piccole imprese turistiche e commerciali con una media di fatturato a regime di 200.000 euro. Queste imprese, cioè, produrrebbero circa 100 milioni di fatturato, 3.500 posti di lavoro tra fissi e stagionali, 10.000 clienti ciascuno su base annua, pari a 125.000 nuovi clienti per la città. Numeri enormi, che avrebbero un conseguente importante impatto sui tassi di occupazione degli alberghi, di utilizzo dei taxi e di offerta di nuovi servizi e vendita di prodotti. Ma perché si possa realizzare questa ipotesi, secondo l’Adoc occorrerebbe che gli amministratori assicurino alcuni aspetti imprescindibili.
“La difesa dell’ambiente – continuano i rappresentanti dell’associazione – in chiave di sviluppo turistico a vantaggio non dell’etica valoriale astratta, ma di difesa dell’interesse diretto e immediato delle circa 60.000 famiglie che in prospettiva vivranno di turismo e indotto. Vie di comunicazione capaci di assorbire questi flussi e rendere possibili o addirittura piacevoli gli spostamenti, trasparenza dei servizi e delle tariffe, Enti locali che supportino e animino questi processi con politiche virtuose, solidarietà e ripensamento dello Stato sociale in attesa di realizzare questi progetti e capaci di coinvolgere la cittadinanza. Esigenze da cui la situazione attuale sarebbe però ancora troppo lontana”.

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