In United Kingdom, quando un uomo politico commette infrazioni si dimette. È il caso di Michael Martin, scozzese, Speaker della Camera dei Comuni che è stato cacciato dall’establishment politico dello stesso partito, il Labour, non perché si era appropriato di somme, ma perché aveva omesso di verificare i rimborsi spese del personale del Westminster: un reato politico che in Italia si chiamerebbe culpa in vigilando, cioè la responsabilità oggettiva di chi deve controllare e non lo fa.
è stato lo stesso primo ministro, Gordon Brown, anche lui laburista e scozzese, a non salvare Martin, per rispetto alle istituzioni e per non finire lui stesso dentro a un rogo acceso dall’opinione pubblica. “Westminster non può funzionare come un club per gentiluomini, i cui membri scrivono le regole e le applicano a loro piacimento”, ha tuonato il primo ministro. Pensate all’Italia. Un episodio uguale a quello riportato, potrebbe costringere alle dimissioni il presidente della Camera?
Chi riesce a sedersi sul cadreghino (seggio popolare che dà potere e laute prebende), chiama una squadra di saldatori in modo che il suo riverito posteriore venga bloccato, per evitare la possibilità di farlo disancorare dal quel posto.
In Italia, l’istituto delle dimissioni è conosciuto ma inapplicato, salve rare eccezioni. Non va via chi perde le elezioni, non va via chi è accusato di corruzione, chi dovrebbe rispondere di inefficienza, non va via chi ha mentito ai propri elettori e non ha realizzato il tassativo impegno elettorale. Insomma una massa di gente senza onore e senza valori, se non quello di tener conto del proprio interesse e della propria tasca.
Sì, perché chi va via da un incarico istituzionale, perde compensi annui di 200 o 300 mila euro, oltre a una serie di benefit e di vantaggi nominati e innominati. Non c’è alcun valore che spinga chi ha commesso reati penali o morali ad andarsene.
Nel Parlamento britannico era prosperata, in questi ultimi tempi, una cultura politica nella quale corruzione e favoritismi la facevano da padrone. Ma là i media funzionano e non concorrono al Lecchino d’oro.
Il fatto che i deputati se la spassavano a spese dello Stato, ha suscitato lo sdegno popolare di chi è disposto ad accettare le disuguaglianze di classe, ma non l’intoccabilità della Casta. Vi è anche un’altra componente della sollevazione di media e popolo: la rabbia di pensare che un deputato si sia fatto pagare il restauro di una piscina mentre i cittadini comuni fanno fatica ad arrivare alla fine del mese.
Ancora una volta, se facciamo un riferimento all’Italia, ci accorgiamo dell’enorme differenza fra quel modo di pensare del Popolo e quello dei responsabili delle istituzioni.
Il gravissimo episodio è venuto alla luce per merito di un giornale: il Daily Telegraph, che ha pubblicato documenti pubblici ma riservati, nonostante in Gran Bretagna sia un reato. La relativa multa di circa 170 mila euro, è stata pagata dal giornale volentieri, pur di portare all’opinione pubblica la questione. Una sorta di Watergate dell’UK, dovuta alla bravura di giornalisti e del direttore che hanno tenuto la barra al centro nonostante le pressioni per non pubblicare lo scandalo.
Non vi è stato partito che abbia protestato per le rivelazioni del quotidiano. Neanche i concorrenti hanno scritto contro lo scoop. Neppure la Bbc o altra televisione privata ha taciuto facendo cassa di risonanza al quotidiano. Nessuna gelosia o invidia, ma un comportamento corale contro chi aveva tradito la fiducia del Popolo, con un episodio non estremamente importante in sé, ma primario sul piano della violazione dei valori.
Ecco, se in Italia i responsabili delle istituzioni facessero più riferimento ai valori e misurassero le loro azioni in base all’etica politica, che deve essere sempre presente in ogni loro comportamento, probabilmente tanti abomìni non si verificherebbero.
Vorremmo che sulla questione riportata meditassero i responsabili delle istituzioni siciliane a livello regionale e locale, con un approfondito esame di coscienza, la quale
deve essere sempre in cima ai loro pensieri.