Pubblici e privati, scambiarsi i posti - QdS

Pubblici e privati, scambiarsi i posti

Carlo Alberto Tregua

Pubblici e privati, scambiarsi i posti

sabato 19 Giugno 2010

Per la cultura del merito a 360 gradi

Qualche giorno fa abbiamo ragionato sull’opportunità di rendere poco appetibile l’impiego pubblico nel Sud, in modo che la convenienza spingesse tanti meridionali e tanti siciliani verso le attività private sia come dipendenti che come partite Iva.
Sul fatto che i nostri conterranei non vogliano andare a lavorare seriamente per obiettivi e con responsabilità, nei luoghi dove il merito prevale, è ulteriormente dimostrato dal seguente assunto: se nell’ambiente pubblico ed in quello privato le condizioni e le retribuzioni fossero all’incirca eguali non ci dovrebbe essere alcuna difficoltà per dipendenti pubblici e privati a scambiarsi il posto di lavoro.
Provate a chiedere a un qualunque dipendente del Comune di Vattelapesca a venire a lavorare in questa azienda. Vi risponderebbe sicuramente col gesto dell’ombrello. Perchè in questa azienda si lavora seriamente per tutte le ore previste dal contratto, perchè ogni dipendente è responsabile e considera il luogo di lavoro quasi sacro e perchè lavora con amore e con passione.

Quanto precede non è una provocazione, ma una precisa opportunità che può essere utilizzata da qualcuno che ne faccia richiesta, sapendo che essa sarà accolta.
Ciò, nonostante l’Aran abbia dichiarato che negli ultimi dieci  anni le retribuzioni dei dipendenti pubblici siano aumentate del 39%, mentre quelle dei privati solo del 25. Dal che ne consegue che non solo nella Pa si lavora di meno e senza alcuna responsabilità, ma si guadagna di più. Il che rende ancora più appetibile il posto pubblico mentre esso dovrebbe essere scoraggiato.
Non è dei nostri giorni la proposta prima indicata, lo sappiamo benissimo. Perchè possa avere una qualche attuazione bisognerebbe che il ceto politico ritirasse le mani dalla marmellata della raccomandazione e rinunziasse ai galoppini che poi gli serviranno nelle prossime campagne elettorali.
Non è di questa classe politica il grande progetto di sviluppo e la raccolta del consenso sull’interesse generale, bensì sullo scambio fra voto e favore: il peggio di una democrazia malata.

 
Non contento della pletora di dipendenti inutili alla produzione dei servizi, che affollano la Pubblica aministrazione siciliana, il ceto politico ha inventato una miriade di società partecipate a tutti i livelli, nelle quali ha inviato decine di migliaia di ulteriori raccomandati assunti non per merito o titoli professionali ma perché segnalati. Cosicchè il malaffare e l’iniquità diffusi negli enti pubblici sono stati amplificati attraverso quest’altro largo canale formato dalle società pubbliche.
Queste società hanno un ulteriore gravissimo difetto, cioè quello di stipulare i contratti con il proprio azionista ad un prezzo esorbitante quello di mercato. Infatti i servizi non sono dati in appalto con gare di evidenza pubblica, bensì attribuiti alla società-figlia costituita non già per produrre tali servizi al meglio, ma come struttura clientelare e mangia-danaro dei contribuenti.

Ribadiamo ancora che la linea editoriale del QdS non è quella di privatizzare i servizi pubblici, ma di renderli efficienti. La chiave per poterlo fare è inserire l’organizzazione con tutti i suoi addentellati, nonchè i valori di merito e responsabilità, per consentire a tutti di partecipare in modo leale e trasparente ed evitare lo svolgimento di gare truccate come quelle che oggi avvengono nel settore pubblico, senza alcun pudore.
Invece, è proprio necessario il pudore per sovvertire questo andazzo negativo e consentire alla Sicilia di ricominciare daccapo sulla base del proprio Statuto, da attuare completamente con piena coscienza e in base a valori  etici.
Il disegno di legge sulla trasparenza, presentato dall’assessore Caterina Chinnici è un buon inizio. Ma auspichiamo la sua conclusione con l’inserimento di effettive penalità a carico di sindaci e dirigenti inadempienti, soprattutto su due versanti: l’informatizzazione completa di tutte le strutture e l’osservnza totale di tutte le leggi, comprese quelle sulla comunicazione. Non più leggi ordinatorie, ma perentorie. Chi vuol capire, capisca. Non c’è più tempo per cincischiare. è ora dei fatti e non delle parole.

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