La tragedia costata 38 vite umane e 550 milioni di danni: le concause spiegate dai geologi. Pioggia, pendenza del terreno, abbandono dei campi: l’incubo potrebbe tornare
MESSINA – I geologi le chiamano debris flow (colate di detrito), un termine che indica una frana superficiale di detrito che scivola giù da un pendio. Si tratta generalmente di suolo (cioè i primi 2 meri di terreno) che poggia su materiale più duro, ma che con le piogge abbondanti, complici anche le pendenze dei versanti, diventa un fiume di acqua e fango irrefrenabile.
È questo ciò che si è verificato a Giampilieri e a Scaletta Zanclea, nel messinese, quel famoso 1 ottobre 2009 e che ha messo a soqquadro intere frazioni e Comuni della provincia di Messina.
Queste colate rapide di fango e detrito, si innescano generalmente a causa dell’acqua che per motivi vari quali, ad esempio, il disgelo, cioè il passaggio da ghiaccio a liquido, oppure le abbondanti precipitazioni, com’è avvenuto proprio in questo caso, si mescola con il materiale detritico il quale, poggiando su roccia sottostante, ha lo “scivolo” ideale per cadere giù.
Le pendenze dei versanti sui quali si è verificato il dissesto di Giampilieri e Scaletta sono comprese tra il 47% e il 70%. Acqua e pendenze dunque le cause principali, ma non solo; infatti, la presenza di terreni che non hanno una buona permeabilità, cioè non assorbono l’acqua, ma la fanno ruscellare, cioè scorrere in superficie, favorisce l’azione erosiva di quest’ultima, cioè dell’acqua, che si manifesta con l’asportazione dei detriti e il conseguente denudamento del suolo.
Un dato meteorologico importante è quello che ha visto, dal 2007 ad oggi, l’incremento di un grado centigrado della temperatura media del mare. Questo valore, confermato anche dallo stesso geologo Michele Orifici, pare stia alla base della perturbazione violenta che si è scatenata tra settembre e ottobre del 2009. In merito poi alle aree più colpite a Giampilieri e a Scaletta, Orifici ha così esposto: “A Giampilieri le zone più colpite sono state la via Puntale e la via Vallone. A Scaletta, invece – ha continuato a dire il geologo – , l’area più devastata è stata quella del torrente Racimazza, il quale ha investito le auto che stavano percorrendo la SS 114, macchine già deviate su questa strada perché era stata chiusa l’autostrada A19 per una frana”. Forse la toponomastica delle aree maggiormente colpite, vorrebbe già dire qualcosa?
Tra le cause dell’entità del dissesto messinese ci sarebbero, secondo il geologo Michele Orifici, i cambiamenti climatici e l’abbandono delle campagne. “È innegabile che il clima sta cambiando – ha cominciato a dire- e ciò che prima si verificava in una stagione, oggi avviene in una settimana. Mi riferisco alle piogge, sempre più violente e abbondanti, le quali si abbattono sul territorio molte volte privo di vegetazione e provocano danni molto gravi”.
La disamina è chiara ma c’è qualcosa in più: infatti, gli incendi che hanno interessato il territorio Nebroideo già dal 2007, hanno predisposto il territorio ai dissesti. “I suoli senza vegetazione, e non sono pochi – ha proseguito Orifici -, sono maggiormente predisposti all’erosione perché non essendoci radici che li trattengono, il loro materiale solido viene preso in carico dall’acqua che lo trascina a valle. Un altro elemento che predispone alle frane è la pendenza elevata dei versanti”.
Il geologo ha sottolineato come le elevate acclività favoriscono la velocità dell’acqua la quale, scorrendo su rocce non molto permeabili, ruscella ed erode i fianchi delle montagne e delle colline. E se il clima cambia e non consente di avere più la qualità delle colture di una volta, ecco spuntare l’abbandono delle campagne. «Arance e nocciole erano parte fondante dell’economia agricola delle nostre campagne – ha ricordato Orifici- ma adesso non è più così. L’abbandono delle campagne ha portato anche ad avere una scarsa manutenzione dei canali che non consente all’acqua di defluire liberamente”.
(2. Continua. Il precedente articolo è stato pubblicato sabato 10 luglio)