Era l’alba del 5 settembre del 1972
Era l’alba del cinque settembre del 1972, quando un commando di terroristi del gruppo settembre nero scavalcava la recinzione del villaggio olimpico di Monaco di Baviera per compiere una sanguinosa strage, che sarebbe costata la vita a tutti gli atleti della squadra israeliana ed avrebbe portato il terrorismo palestinese per la prima volta, ad apparire come un soggetto politico sulla scena internazionale.
L’opera degli aggressori venne agevolata dal basso livello di sicurezza che gli organizzatori avevano posto nella gestione dell’intera struttura recettiva, in cui soggiornavano gli atleti di tutto il mondo, preoccupati di dare l’immagine di un Paese sereno e ben organizzato, desideroso di ospitare una grande manifestazione che si svolgeva in un clima di amicizia e concordia internazionale.
Quando i terroristi armati giunsero agli alloggi degli atleti israeliani nulla valse il disperato tentativo di bloccarli, per cercare di salvare il resto della squadra, approntato, senza alcun mezzo se non il loro personale coraggio, dal pesista Yossi Romano e dall’allenatore di lotta greco-romana Moshe Weinberg. I due israeliani vennero subito sopraffatti e puniti, per questa loro reazione, con torture, sevizie e mutilazioni che ne determinarono una atroce morte. I terroristi, seguendo i loro piani, chiesero, per la liberazione dei restanti nove atleti, la scarcerazione di duecentotrentadue terroristi palestinesi detenuti nelle carceri israeliani e di altri due che si trovavano in Germania.
Al momento dell’aggressione i giochi erano nella seconda settimana di svolgimento. Vennero sospesi per trentaquattro ore, in attesa che i negoziati dessero i risultati sperati. Cosa che non avvenne per la irremovibile determinazione del governo Israeliano, in quanto come chiarito dalla sua premier Golda Meir, cedere avrebbe di certo comportato un’incentivazione delle iniziative terroristiche. La vicenda si concluse all’aeroporto di Monaco, da cui i terroristi avrebbero dovuto prendere la fuga, ma il commando, non avendo trovato alcuno di cui avevano chiesto la liberazione a bordo degli aerei messi a loro disposizione, aprì il fuoco contro gli atleti in ostaggio, avendo compreso di essere stati attirati in un tranello.
Purtroppo l’intervento della polizia tedesca, nell’occasione, non è stato all’altezza della complessità dell’operazione. Il bilancio di morte fu di diciannove vite umane: tutti gli undici atleti sequestrati, sette terroristi ed un poliziotto. Israele, negli anni a venire non mancò di colpire, ricercandoli ovunque si trovassero nel mondo, i terroristi sopravvissuti, affinchè fosse chiaro che non si poteva uccidere impunemente degli ebrei. L’evento è stato oggetto di molti film, tra cui nel 2005, Munich di Steven Spielberg, tratto dal libro Vendetta di George Jonas (Ed. Rizzoli).
Il Comitato Internazionale Olimpico ha mantenuto per molti anni la determinazione a non dare alcuno spazio commemorativo a questi tragici fatti per le implicazioni di natura politica ricollegate alla strage, ritenendo che i Giochi dovessero restare lontani dalle contese tra gli stati. In occasione delle Olimpiadi di Londra del 2012, ricorrendo i quarant’anni dalla strage, per questa inaccettabile motivazione, venne respinta la richiesta di un breve momento commemorativo. Invero, le Olimpiadi hanno dimostrato di essere la cassa di risonanza di tante tensione sia di tipo politico che sociale.
La fotografia dei due velocisti statunitensi Tommie Smith e Jonh Carlos , che alle Olimpiadi di Città del Messico del 1986, sul podio, in segno di protesta, alzano al cielo il pugno chiuso in un guanto nero, mentre viene intonato l’inno nazionale, è divenuta l’immagine iconica della reazione alla violazione dei diritti civili degli afroamericani. Protesta che valse loro l’espulsione dai giochi. Bisognerà attendere le Olimpiadi di Tokyo del 2021, per avere un minuto di silenzio, per ricordare la strage di Monaco. Competizione in cui, per la prima volta, le calciatrici del match Gran Bretagna/Cile e Svezia/Stati Uniti si posero in ginocchio in segno di protesta contro le discriminazioni comunque perpetrate.
Il gesto non ha avuto conseguenze disciplinari, giacché in ultimo, il Comitato Internazionale Olimpico aveva provveduto a modificare il regolamento per lo svolgimento delle gare, emendando la “Regola 50“.