Ue, metà dei siciliani al mare
Su 4.978.991 abitanti della regione, gli elettori erano poco meno di 4,3 milioni. Essi, alle Europee del 2004, sono andati a votare in misura del 60,4 %, mentre alle Politiche del 2008 l’affluenza è stata del 75%. Questa volta vi è stato un crollo al 49,2%. Come dire che più della metà dei siciliani è andata al mare.
Molte le cause del patologico astensionismo. Fra esse, l’incapacità del ceto politico di spiegare l’importanza di queste elezioni sul nostro futuro e, soprattutto, le beghe da comari che hanno fatto scadere molto tono e contenuti della tenzone. L’Europa è lontana dai siciliani, i quali non si informano sufficientemente e non vengono informati dai partiti che dovrebbero preoccuparsi di creare un più forte collegamento fra l’Unione e la nostra Isola.
In Sicilia, la vera tenzone elettorale era fra il blocco PdL-UdC, che faceva riferimento a Schifani e il blocco PdL-MpA che faceva riferimento a Micciché. All’interno di questi blocchi vi era un’ulteriore competizione fra MpA e UdC ora che la loro alleanza si è dissolta.
In quest’ultimo caso, dobbiamo evidenziare i dati nella sequenza 2004-2008-2009: Mpa 0,5% – 7,7% – 15,6%; Udc 11,8% – 9,5% – 11,9%. Come si evince, il trend del partito di Lombardo dimostra una forte crescita, mentre l’andamento del partito di Cuffaro si “ristabilisce”. Sembra, da questi dati, che vi sia un trasloco dai democristiani che fanno riferimento a Mannino (UdC) agli autonomisti del Presidente della Regione.
Quest’ultimo puntava al 20%, con il quale presentarsi alla trattativa con Berlusconi. Ma se Atene piange, Sparta non ride, perché mentre il leader siciliano è avanzato, ma non nella misura da lui voluta, il leader nazionale è regredito di 2,1 punti (dal 37,4% del 2004 al 35,3%). Bisognerà vedere, nella strategia prossima ventura di Berlusconi, se manterrà la stessa chiusura verso il nemico Casini oppure se vi sarà un’apertura nei suoi confronti, visto che è riuscito ad aumentare il proprio peso elettorale di quasi l’1% (dal 5,6 del 2008 al 6,5).
Il dato rilevante di questa competizione sono le due decise vittorie di Lega e Idv. La Lega, nella sequenza 2004-2008-2009, è passata dal 5% all’8,3% e infine al 10,2%, sfondando in Veneto (28,4%), entrando decisamente in Emilia (11,1%) e mettendo una significativa bandierina in Toscana (4,3%). Il movimento autonomista di Bossi ha dimostrato che, quando si fanno gli interessi di un territorio, si diventa trasversali ai formali blocchi politici di destra e di sinistra, perché i cittadini sono più vicini ai problemi reali, più informati sulle questioni che li toccano da vicino e quindi votano coloro che ritengono possano fare i loro interessi.
Questo dev’essere di insegnamento a Lombardo, il quale ha il compito di formulare grandi progetti strategici, discostandosi fortemente dalla politica clientelare dei Governi precedenti, che fondavano la raccolta del consenso sull’interesse individuale. E Lombardo ha bisogno di un sistema mediatico, in Sicilia, che spieghi dettagliatamente e diffusamente nel territorio i suoi progetti e illustri sistematicamente ogni giorno i risultati che la sua amministrazione riesce a conseguire.
Un ultima questione in esame, almeno per oggi. L’assegnazione dei seggi e le preferenze interne al PdL andate alla parte Micciché-Cimino (uno) rispetto all’altra parte Schifani-La Via (due). La conseguenza è che alla conta dei numeri risulta preponderante quella del presidente del Senato.
Questo giustifica alcuni propositi bellicosi che parlano di applicazione dell’art. 48 dello Statuto del PdL contro i ribelli. In politica, si sa, dopo i bagliori di guerra arrivano gli armistizi che, naturalmente, tengono conto del posizionamento delle parti sul campo di battaglia. In questa vicenda elettorale è ben posizionata la parte del PdL che fa riferimento ai coordinatori regionali Castiglione e Nania e dovrà giocare sulla difensiva quell’altra che fa riferimento al sottosegretario Micciché.
Ma in mezzo c’è Lombardo, che dovrà usare tutta la sua sagacia per salvare capra e cavoli e, cioè, portare avanti un’indispensabile politica riformista col taglio di tanti clientelismi e, contemporaneamente, tenere buoni alleati o ex alleati, fra cui l’Udc di Saverio Romano.