Nel suo messaggio web il presidente della Camera ha precisato di non sapere come siano andate le cose sulla vicenda di Montecarlo, ma che, se dovesse risultare che la campagna de il Giornale fosse vera, non esiterebbe a dimettersi dall’incarico. Questa circostanza sembra si stia consolidando e forse lo stesso Fini sapeva qualcosa di più di quanto ha ammesso.
Quale sarebbe il retroscena? Sarebbe che Fini coalizza una maggioranza parlamentare per cambiare la legge elettorale, subito dopo dimettersi e andare ad elezioni come leader di Futuro e libertà.
Berlusconi, dal suo canto, spinto da Bossi, sta preparando il terreno per arrivare allo stesso risultato: le elezioni. Ma spera di cristallizzare la situazione fino a gennaio 2011, in modo che non ci sia più il tempo di cambiare la legge elettorale, la porcata, e andare ad elezioni col potere intatto di nomina dei candidati. Il che assicurerebbe allo stesso Bossi, ma anche a tutti gli altri capipartito, un enorme potere su tutti coloro che vogliono essere rimessi in lista, secondo un ordine di precedenza che assicuri l’elezione.
I fatti diranno se questo scenario è fondato, ma ci vorrà poco perchè, intanto, ci sarà l’immediato scontro su una delle leggi ad personam e poi quello sulla Finanziaria 2011.
In questo quadro, a perdere sono gli italiani, perchè il Governo e la maggioranza non affrontano la questione di fondo: lo sviluppo, la crescita di ricchezza, l’aumento dell’occupazione.
La presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, ha tuonato contro l’immobilismo del Governo. Luca Cordero di Montezemolo e Sergio Marchionne hanno preso a cannoneggiare da un altro versante. La Chiesa martella Berlusconi. Gli ebrei sono in rivolta.
Il guaio è che questa situazione peggiorerà nei prossimi otto mesi perchè non si vede come questo Governo riesca a fare il suo mestiere, con qualche voto di maggioranza, se ce l’ha. A meno che Berlusconi, con un coupe de theatre non rinunzi alle leggi ad personam e si preoccupi della sorte degli italiani, soprattutto di quelli più deboli: impossibile.
Se Roma piange, Palermo non ride. Neanche Raffaele Lombardo può pensare di fare le importanti riforme che ha promesso col suo quarto Governo di tecnici, contando su una maggioranza effettiva di trentasette voti: tredici dell’Mpa e 24 del Pd (Giovanni Barbagallo, Bernardo Mattarella e Michele Donegani hanno votato contro), poi riesce a raccogliere altri nove voti sulla base di uno scambio. Trattandosi di voti marginali, il prezzo da pagare sarà altissimo.
Come sempre, è abitudine della nostra linea editoriale dare fiducia a chi si accinge a un’impresa anche disperata, come quella di Lombardo. Diamo fiducia perchè è indispensabile che la Sicilia cominci a crescere per fare aumentare il proprio Pil.
Abbiamo più volte elencato le cose da fare, ma due hanno la precedenza: il Piano regionale delle opere pubbliche ed i Parchi progetto dei 390 Comuni per aprire i cantieri e immettere liquidità. Secondo: tagliare 2,9 miliardi dal Bilancio (abbiamo più volte indicato come) per trasferire i risparmi agli investimenti e alla riduzione o cancellazione dell’Irap a carico delle imprese.
Finalmente Lombardo si è accorto che trasformando le Province in Consorzi di Comuni (art. 15 dello Statuto) si risparmiano 400 milioni (ma noi abbiamo conteggiato 500 mln). Meglio tardi che mai.