Filiera lunga, peperonata indigesta - QdS

Filiera lunga, peperonata indigesta

Sebastiano Ambra

Filiera lunga, peperonata indigesta

martedì 26 Ottobre 2010

Consumo. Peperonata indigesta per i consumatori.
Rincari. Le stime della Confederazione italiana agricoltori parlano di un calo dei prezzi all’origine del 4,5% ma il Codacons denuncia rincari anche del 1300% per le tasche dei consumatori.
Produzione. In calo anche la produzione (-2,1%): conseguenza diretta è il sempre maggior ricorso ai prodotti esteri che sono anche meno cari rispetto a quelli italiani (di miglior qualità).

“Evidenti speculazioni da parte dei negozianti”. È questo il commento del Codacons all’annuncio di un evidente anno nero per l’agricoltura italiana da parte della Cia: le stime della Confederazione Italiana Agricoltori parlano di un calo della produzione del 2,1% e di un calo dei prezzi all’origine del 4,5%, e il Codacons ha puntato subito il dito contro gli esercenti che – sono accuse senza mezzi termini – “non hanno traslato queste diminuzioni dei costi all’origine sul prezzo finale al consumatore”. Il Coordinamento della associazioni dei Consumatori, però, non si limita a indicare, ma ricorda come abbia chiesto interventi fotografando una situazione sotto gli occhi di molti da parecchio tempo.
 
“Più volte abbiamo denunciato la necessità di riforme radicali e urgenti nel settore, finalizzate ad accorciare la filiera e ad aumentare la vendita diretta agricoltore-consumatore. I prezzi – continuano – lievitano lungo la filiera, che talvolta arriva fino a sette passaggi prima che un prodotto possa giungere sulle tavole degli italiani, con ricarichi che arrivano a sfiorare il 1.300 per cento”. Sono cifre da capogiro, ma non del tutto errate. I passaggi di mano comportano anche moltiplicazioni del prezzo dovute al carico del lavoro, ai consumi, all’usura dei mezzi e – ultimo fattore, ma non meno importante – alle percentuali di rincaro relative ai passaggi stessi. Per fare un esempio: un peperone che viaggia dall’orto alla tavola nella migliore delle ipotesi si sobbarca un viaggio lungo sei tappe.
 
Raccolto dall’orto (che è la tappa di partenza) parte verso il mercato, carico già di una cifra comprendente il guadagno del contadino che deve venderlo, il consumo del mezzo per trasportarlo, l’usura dello stesso e la manodopera per piantarlo, curarlo e farlo crescere (il che comprende anche l’utilizzo di acqua, fertilizzanti e quant’altro); al mercato (seconda tappa) il commissario che lo acquista pagherà tutto questo, e nel rivenderlo calcolerà il suo guadagno, un ulteriore carico di lavoro e una percentuale del 10% (secondo quanto stabilito dalle norme); il grossista che acquista il peperone (terza tappa) lo troverà carico di tutto questo e lo venderà all’esercente (quarta tappa) infilando nel cartellino il suo guadagno, l’usura dei suoi mezzi, il consumo, l’eventuale manodopera e l’iva del 20%; il dettagliante che lo esporrà nel suo esercizio (quinta tappa) nel rivenderlo penserà, com’è giusto, al suo guadagno che – come negli altri casi – comprenderà le varie spese, dai consumi ad una ulteriore iva del 20%. Ecco che il consumatore (sesta tappa) porterà sulla sua tavola un prodotto che appena seminato in percentuale vale qualcosa come il 1.000 per cento in meno di quanto presenta il suo cartellino.
Secondo il servizio Sms consumatori (del ministero delle Politiche agricole), un peperone rosso (alla data del 22 ottobre) valeva appena colto 0,51 €/kg, per arrivare ad un prezzo di vendita di 2,10 €/kg (con punte – registrate a Firenze – di 4 € al kg).
Il Codacons, in effetti, i suoi conti li ha fatti: che poi le tappe siano cinque, sei o sette, non ha moltissima importanza. L’importante è riuscire a trovare un modo per snellire un viaggio che cade tutto sulle spalle di chi quel benedetto peperone vuol metterlo sulla griglia. Alla faccia della crisi.
“Per quanto riguarda la Sicilia il problema è che i prodotti sono caratterizzati da prezzi più elevati rispetto a quelli importati dall’estero, e la disponibilità in termini quantitativi è spesso insoddisfacente”. Così reagisce alla parola “crisi” Salvatore Barbagallo, dirigente generale per gli interventi infrastrutturali per l’agricoltura in Sicilia. Stando a queste parole, ogni volta che ci troviamo di fronte il cartellino delle melanzane dobbiamo pensare che la colpa è di chi non sa gestire l’import-export. “Visti prezzi e quantità la grande distribuzione non è granché interessata ai nostri prodotti”.
 
Questa discussione porta alla soluzione dei cosiddetti ‘farmers market’: “Possono costituire una piccola soluzione, sì, ma certamente questa non può risolvere il problema delle produzioni agricole, perché è ristretta a prodotti di nicchia, poca cosa. Per il resto dei prodotti, come pomodori, pomodorini, agrumi, la soluzione è quella della collocazione nei mercati nazionali e internazionali. Per fare questo l’assessorato all’agricoltura sta puntando su tre iniziative: strutturare meglio la produzione, in modo che sia significativa, potenziare i controlli e, infine, realizzare un marchio che consenta di caratterizzare i prodotti per offrire ai consumatori una tracciabilità”.
In tutto questo, però, resta il problema della filiera, coi suoi passaggi di mano e i suoi carichi d’iva: “Questo – conclude Barbagallo, e lo si potrebbe immaginare sconsolato – si può risolvere solo attraverso accordi con la grande distribuzione. In effetti questa filiera, oggi, è troppo lunga”.

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