Legge Pinto. Nessun freno ai ritardi nei processi.
La durata ragionevole dei processi. È stata fissata dalla legge “Pinto” n. 89/2001 in tre anni per il primo grado, due anni per il giudizio in appello e un anno in Cassazione.
Cinque anni. Dura cinque anni in media il ritardo rispetto al processo di “giusta durata” e per ogni anno ad attore e convenuto vengono risarciti circa 1000 euro.
Già nel 2001 il legislatore ha cercato di fissare in tre anni la durata dei processi di primo grado, senza però sortire l’effetto sperato, ovvero ridurre le lungaggini, visto che ha inserito un risarcimento che può arrivare anche a mille euro per anno di ritardo.
In realtà la legge non ha raggiunto l’obiettivo, perchè bisognerebbe intervenire anche in altro, soprattutto nell’organizzazione degli uffici giudiziari, mentre invece al Governo nazionale si è lungamente discusso di processo breve, come riforma della giustizia. Una perdita di tempo se invece si pensa che il processo breve è già disciplinato, appunto dalla legge Pinto, la n. 89/2001.
Il fatto di non essere riuscita questa legge a frenare le lungaggini è dimostrato da un costo di 250 milioni di euro per lo Stato fino al 2009 e di 11,5 milioni solo per la Sicilia in risarcimenti dal 2009 ad oggi.
Il dibattito sulla giustizia-lumaca ricorre puntualmente ogni anno, quasi come una sorta di appuntamento fisso, nelle relazioni dei presidenti delle Corti d’Appello, in occasione dell’apertura dell’anno giudiziario; la riforma della giustizia costituisce non a caso anche uno dei cinque punti programmatici dell’attuale governo Berlusconi (ma se vogliamo dirla tutta, un pò di tutti i governi che si sono succeduti negli ultimi anni). Persino il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, in occasione del “Primo Forum Internazionale per lo sviluppo della giustizia elettronica” organizzato dall’Abi nelle scorse settimane, ha sottolineato in modo lapidario l’esigenza di ridurre la durata dei procedimenti giudiziari attraverso “uno scatto di efficienza e scelte coraggiose”, lasciando intuire in modo fin troppo chiaro che la giustizia nel nostro Paese non sconta esclusivamente le ataviche carenze di organico ma c’è più di un problema da affrontare, più di un’emergenza.
La legge n. 89 del 24 marzo 2001 (la cosiddetta “Legge Pinto”) è stata istituita al fine di garantire la durata ragionevole dei processi (ovvero tre anni per il primo grado; due anni per in giudizio in appello e un anno in Cassazione). Essa, tuttavia, presenta delle lacune a dir poco imbarazzanti che non sono passate inosservate in Europa basti pensare alle innumerevoli sentenze della Corte di Strasburgo che, soltanto nel 2009, ha “richiamato” l’Italia per oltre settecento volte. Tema, pardon, emergenza attualissima, dunque, quella dell’estenuante lentezza della giustizia italiana Ma la riforma resta ad oggi una chimera e nulla di più: “ridurre i costi di gestione e semplificare le procedure”, così come ha chiosato Napolitano, sembra proprio un’impresa impossibile.
L’eccessivo ritardo con cui si concludono i processi, oltre a svilire l’attività giudiziaria rendendola oltremodo dispendiosa sul piano finanziario per lo Stato, danneggia soprattutto gli utenti, ovvero i cittadini: “Non infrequentemente – ha detto il presidente della Corte d’Appello di Palermo, Vincenzo Oliveri – , le procedure contenziose si protraggono ben oltre la vita delle persone che le avevano promosse”. Come se non bastasse, la legge Pinto concepita per tutelare i cittadini dai ritardi cronici della giustizia, ha ottenuto in verità l’effetto contrario, evidenziando ancor più di prima (se mai ce ne fosse stato bisogno), i limiti di una giustizia, quella italiana, la cui estenuante lentezza garantisce al nostro Paese solo ed esclusivamente tristi primati a livello europeo.
Fino alla fine del 2009, il ministero della Giustizia ha erogato 150 milioni di euro di risarcimenti ma aveva un debito di altri 100 milioni, dunque 250 milioni di oneri complessivi. Vediamo invece cosa è successo in Sicilia: nel 2008, le istanze di risarcimento sono state 2.156; di queste, i procedimenti definiti sono stati 1.522. I procedimenti pendenti al 31/12/’08 erano ben 1.606. Nel corso dei primi sei mesi del 2009 le cose sono andate peggiorando, vediamo perchè: i procedimenti definiti sono stati 962 (a fronte di 1.269 ricorsi) mentre quelli pendenti sono arrivati a quota 1.913 registrando un incremento del 19% in soli sei mesi). Confrontando poi il dato siciliano con quello nazionale è possibile vedere che i procedimenti pendenti in Sicilia costituiscono il 5,11% di quelli pendenti in tutta la nostra penisola (37.393 al 30 giugno 2009).
Se la liquidazione dei risarcimenti in media supera difficilmente i 1000 euro per anno (fonte: Sole 24 Ore), in soli sei mesi è stato erogato almeno un milione di euro. Ciò significa che in media la giustizia-lumaca in Sicilia costa due milioni l’anno. Se poi moltiplichiamo il risarcimento medio per il numero di istanze ancora pendenti (1.913), considerato un ritardo medio da risarcire di 5 anni, viene fuori un costo di 9,5 milioni di euro: cifra a dir poco da capogiro, che sommata ai 2 milioni liquidati nel 2009, diventa di 11,5 milioni €.
Come se non bastasse, le prospettive per l’immediato futuro non sono per niente rosee: il presidente Oliveri definisce “preoccupante” la riforma prevista dal Disegno di legge n° 1880/s sulla durata del processo, che “non dovrebbe superare il termine di due anni per ciascun grado, condizionando la domanda di equa riparazione alla presentazione di apposita istanza di sollecita definizione del processo sei mesi prima della scadenza del biennio”.