Votare in massa come nel 1993
Auspichiamo che questo referendum sulla legge elettorale promosso da Mariotto Segni e Giovanni Guzzetta convogli il cinquanta per cento più uno degli elettori verso le urne, dimostrando in tal modo che essi sono adulti, ragionano con la propria testa e sentono il dovere di manifestare la propria volontà con un Sì o con un No.
Quello sulla legge elettorale non è un qualunque referendum. Ha un’importanza eccezionale perché modifica le regole del gioco, in base alle quali viene disegnata la geografia delle Camere e quindi l’esecuzione del programma. Certo, il sistema referendario che taglia parti delle norme non è il migliore per ottenere una legge elettorale equilibrata. Per esempio, non introduce (e non potrebbe introdurre) le preferenze, né trasformare la legge in collegi uninominali a due turni. Tuttavia è indispensabile che anche l’Italia abbia un sistema bipartitico, nel quale vengano resi inoffensivi i piccoli schieramenti, che tuttavia hanno pieno diritto democratico di portare la loro rappresentanza dentro il Parlamento, fatto che il referendum non tocca.
Se circa 25 milioni di italiani andranno a votare, il referendum sarà valido e verosimilmente i sì prevarranno. Non è questa la maggiore probabilità, ma ogni persona che odia la partitocrazia, con le sue prevaricazioni, deve andare a votare, perché il referendum è l’espressione più alta di democrazia diretta. Non far raggiungere il quorum significa consentire il grido di gioia di tanti partitocrati, che, ancora una volta, potranno dire ai cittadini che non importa nulla della politica e che il vuoto creato possa legittimamente essere riempito dalla loro prosopopea.
Il referendum è circondato da un’aurea di democristianismo, cioè di chi dice e non dice, di chi mormora e non prende posizione, di chi cambia casacca passando dal sì al no. Tra questi ultimi, per esempio, c’è Antonio Di Pietro che è stato un sottoscrittore e un presenzialista quando furono raccolte le 850 mila firme. Oggi la sua convenienza prevale su quella generale ed anche il suo voto è ribaltato.
La probabilità, tuttavia, che il referendum sia convalidato dalla maggioranza degli aventi diritto al voto non è peregrina. Infatti vi è il Sì convinto di Fini, il più coerente tra i politici italiani, il che significa che tutta la componente An del PdL dovrebbe andare a votare. Vi è il Sì a mezza bocca di Berlusconi, che a parole non impegna nessuno dei propri elettori, però dà un segnale chiaro con il suo recarsi alle urne per votarlo.
E, dall’altra parte, vi è il Sì chiaro e convinto di Franceschini. Se queste indicazioni di voto fossero seguite dagli elettori, significherebbe già aver superato la soglia del 60 per cento. Però, in senso contrario, giocherà il bel tempo con la voglia di tanta gente di venir meno al proprio dovere e di andarsene al mare. Questo perché il senso civico in Italia non è molto alto ed anche perché la gente ormai non ha fiducia nelle vuote promesse di tanti, che mentono sapendo di mentire. Tanto poi nessuno ricorderà le loro menzogne.
In questi due anni, dal momento della raccolta delle firme al giorno del voto (21 giugno) i due Parlamenti e le due maggioranze, quella di Prodi e quella di Berlusconi, non hanno fatto nulla per modificare le porcata di Calderoli, mentre sarebbe stato meglio che l’avessero fatto inserendo un sistema elettorale verso il bipartitismo alla spagnola, all’anglosassone o alla francese.
Ma si sa, le maggioranze traccheggiano, perdono tempo, se ne infischiano dei cittadini, fanno quello che è loro più comodo, tentando, spesso riuscendovi, di fare prevalere l’interesse privato su quello generale. Come si può pretendere civismo dai cittadini quando chi ha le maggiori responsabilità dà un esempio contrario?
Questo ceto politico ha abbassato continuamente il proprio livello di qualità, riducendosi in uno stato inaccettabile nel quale a tutto pensa, salvo che ai cittadini. O meglio, si arriva all’interesse dei cittadini dopo aver soddisfatto tanti altri interessi di parte. C’è una sola arma per combattere i partitocrati: il referendum. Se non viene usato dopo nessuno pianga.