CATANIA – Raffaele Lombardo ha chiuso con il progetto dei quattro termovalorizzatori dell’era Cuffaro guadagnandosi il plauso di cittadini e addetti ai lavori. I termovalorizzatori, o per meglio dire inceneritori, eliminando una voluta ambiguità terminologica che l’Unione Europea ha più volte rimproverato all’Italia, rappresentano una fonte inquinante ad alto impatto sull’uomo e sull’ambiente. A ribadirlo è stato Donato Marino, responsabile del programma Reci (Recupero Ecologico Chimico Industriale) per la Sicilia, al convegno “Smaltimento dei rifiuti: da gravissimo problema a ottima risorsa” organizzato dall’associazione Rinascita siciliana-Mosif (Movimenti sicilianisti federati) lo scorso sabato presso il Palazzo dell’Esa.
Il fallimento degli inceneritori è ormai conclamato: negli Stati Uniti non se ne costruiscono dal 1995, in Canada la tecnologia è assente, in Inghilterra, Spagna, Austria e Germania si preparano allo smantellamento, in Italia sono sottosequestro gli impianti di Terni e Colleferro, mentre sono chiusi quelli di Brindisi e Pietrasanta. L’esempio più riuscito è probabilmente l’inceneritore di Brescia, che ha ottenuto importanti riconoscimenti in campo internazionale, ma anche in due violazioni delle direttive europee.
“È ampiamente provato – ha spiegato Marino – come gli inceneritori producano forti squilibri all’ecosistema”. Si tratta delle emissioni di anidride carbonica e diossine. In tal senso anche la normativa europea più recente, nonché quella italiana, si veda il decreto Ronchi che prevede lo smaltimento dei R.S.U. mediante inceneritore solo in via residuale, prevede l’incenerimento come passaggio finale di un processo che sia innanzitutto basato sulla riduzione della produzione del rifiuto e sul suo riciclaggio tramite differenziazione.
“Nessun inceneritore – ha proseguito Donato Marino – può dirsi sicuro, laddove anche i più moderni riescono a trattenere solo una parte del particolato prodotto dalla combustione (le c.d. nanoparticelle da PM10 a PM5), ma non esistono filtri o sistemi per l’intercettazione di quelle più insidiose per la salute umana (da PM 2,5 a PM 0,1)”. Pertanto un termovalorizzatore che lavora per un complesso abitato, compreso tra 550mila e 800mila unità, dovrebbe trattare ogni giorno 800 tonnellate in media di rifiuti, ma “fonti mediche riferiscono che la dose massima di diossina tollerabile per un individuo adulto del peso di 70 kg è di 140 pg/giorno; invece, la predetta quantità di 201.600.000 pg di diossina, nell’area interessata porterebbe ad un carico per soggetto di 252 pg/giorno, ben aldilà del limite di tollerabilità”. E poi resterebbe il problema delle ceneri che meriterebbe delle discariche ad hoc.
Il vantaggio non esiste neanche in termini energetici perché, secondo quanto ha spiegato Marino, l’energia necessaria per lo smaltimento è 3 o 4 volte superiore a quella che si può ottenere bruciandoli. Di tutt’altro impatto la tecnologia R.E.C.I. che permette “il totale recupero della materia – ha specificato Marino – senza alcun bisogno di dubbi abbandoni in sicurezza delle scorie, con un loro confinamento in aree determinate”.
In conclusione “l’innovativa tecnologia R.E.C.I. consente, la trasformazione dei R.S.U. e/o fanghi, anche non differenziati, tramite un processo di polimerizzazione ed inertizzazione, in conglomerati inerti riutilizzabili primariamente nell’edilizia e nell’arredo urbano consentendo il superamento dell’attuale stato di crisi nel settore dello smaltimento dei rifiuti”.