Gli sprechi. Le finanze disastrate degli enti locali siciliani.
Appello allo Stato. Catania ottiene 140 mln € di fondi Fas per ripianare i disavanzi di bilancio. A Palermo sono arrivati 80 mln € per poter pagare i debiti della municipalizzata Amia Spa.
Conseguenze. Chi fornisce servizi ai Comuni resta a bocca asciutta e non viene pagato anche per anni: è un trauma non indifferente per il sistema produttivo e del lavoro.
PALERMO – Più che Comuni i tre “palazzi” dei tre capoluoghi più importanti della Sicilia, le tre città “metropolitane”, sembrano tre grossi pachidermi affamati che consumano denaro ed energia senza investire ma solo accumulando debiti su debiti. Una situazione, questa, sempre più evidente che li vede alle prese con una gestione giorno dopo giorno più macchinosa, complicata e costosa in perenne equilibrio tra bilanci impossibili da approvare, creditori paralizzati e rischi di dissesto alle porte.
Basti pensare, dato generale evidenziato in un inchiesta del QdS di gennaio, che i soli associati alla Confindustria avanzano 1,6 miliardi di euro dagli enti locali siciliani. Oggetto di satira politica, invettive, inchieste (giudiziarie e mediatiche), i tre Comuni, che in Sicilia dovrebbero dare il buon esempio, raggiungono livelli di indebitamento che rasentano, ed in certi casi superano, quelli di città ben più grandi di Centro e Nord Italia. Buco da quasi 200 milioni di euro a Palermo, da 400 a Catania e da più di 150 a Messina.
Conseguenza principale: città totalmente paralizzate. E di seguito vengono mille altri piccoli e grandi immobilismi. Prima di tutto c’è quello che coinvolge le aziende, le cooperative, le partecipate che dipendono direttamente dai Comuni: questi enti si ritrovano a presentare conti salatissimi alle Amministrazioni e ad avere crediti molto elevati nei loro confronti, crediti che puntualmente non vengono saldati se non a distanza di mesi o addirittura anni. Altra conseguenza, più politica, quella che riguarda l’attività deliberativa e “legislativa” della macchina comunale, paralizzata dallo spettro del dissesto, che “spreca” intere sedute di Consiglio per approvare debiti fuori bilancio spesso molto discutibili.
In certi casi, come a Palermo e a Catania, i Comuni non ce la fanno neanche con le proprie gambe e lo spettro del dissesto si fa reale tanto da spingere il Governo ad offrire alle Amministrazioni locali le “stampelle”. Nel corso degli ultimi anni, infatti, è da Roma che sono giunti gli aiuti che hanno permesso alle due città siciliane di risollevarsi, anche solo parzialmente, dall’ipotesi incombente di dissesto. Palermo ha così risolto i guai accumulati dall’Amia, la società per la gestione dei rifiuti del Comune di Palermo, 45 milioni di debiti che hanno rischiato di mandare in crisi il bilancio della Giunta di Centro-destra e ha aperto una fase d’instabilità che avrebbe potuto ripercuotersi sugli equilibri della Regione.
A tamponare la situazione ha provveduto il Governo con il “decreto mille proroghe”, trasferendo a dicembre 80 milioni nelle casse del palazzo palermitano. Con questa trasfusione di sangue, per la quale s’è molto adoperato il presidente del Senato, Renato Schifani, il Comune ha ricapitalizzato l’Amia salvandosi da una crisi dagli esiti imprevedibili. Situazione ancora più complicata a Catania dove il dissesto, nel corso dell’inverno appena trascorso, è anche stato annunciato, seguito da appelli ad un Governo che, dopo qualche titubanza, ha concesso al Comune della città della Sicilia Orientale 140 milioni di euro che dovrebbero mettere (ancora non sono arrivati) una piccola toppa ad un buco che, secondo quanto calcolato dalla Corte dei Conti e dall’Amministrazione comunale, si aggirava attorno ai 400 milioni di euro.
Parzialmente differente la situazione nella città dello Stretto, non perché non ci sia effettivo bisogno di “soccorsi” romani, quanto perché gli aiuti esterni non sono mai arrivati nonostante siano stati spesso invocati negli ultimi anni dalle Amministrazioni che si sono susseguite. Anche quest’anno, dopo l’insediamento del sindaco Buzzanca, il dissesto era stato paventato e le ipotesi di un bilancio colabrodo erano state avanzate più volte da dirigenti, esperti ed addetti ai lavori.
Ciò che sembra comunque chiaro è che, in un periodo come questo, in Sicilia, fare l’assessore al Bilancio è una bella gatta da pelare. Gli esponenti delle Giunte comunali alle prese con calcoli e numeri (soprattutto passivi, bisogna dirlo) non hanno vita facile a meno che gli aiuti non arrivino dall’alto. L’imperativo degli Assessori al Bilancio di Sicilia sembra essere: “tagliamo”. Ma l’indebitamento, nelle tre città metropolitane, sembra cronico.