Le principali sono due: inefficienza e corruzione. I sindaci, se volessero rendere efficiente la propria amministrazione, dovrebbero costituire un reparto qualificato denominato affari interni, formato da personale integerimo, per svolgere indagini che portassero alla luce le cause cui prima si accennava. Naturalmente, va distinto il dolo dalla colpa. Nel primo caso, le indagini dovrebbero portare alla denuncia davanti alla Procura competente, con l’esibizione di prove e di riscontri. Non già un’indagine sommaria, ma un’indagine concreta poggiata su prove certe.
Nel secondo caso, quello della colpa, l’indagine dovrebbe puntare a individuare responsabilità da girare alla Corte dei conti, per l’apertura di fascicoli che determinino il danno erariale. In atto, nei 390 Comuni siciliani non esiste nessun nucleo investigativo affari interni, non perché non ve sia bisogno, ma per l’irresponsabilità dei sindaci, i quali preferiscono chiudere un occhio e anche due, per evitare l’insorgere di controversie. Ma così operando vengono meno al loro dovere e alla responsabilità sancita dall’articolo 97 (primo comma) della Costituzione, il quale obbliga che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione.
Chiediamo ai 390 sindaci come ritengano di ottenere il buon funzionamento e l’imparzialità della loro amministrazione se non individuino le disfunzioni e le malversazioni. è del tutto evidente che se non vengono svolte indagini, né le une né le altre possono emergere, col risultato che vengono nascoste ai cittadini ai quali, invece, per dovere di trasparenza, dovrebbe essere detto tutto.
Chiediamo ad uno dei 390 sindaci a scriverci il contrario di quanto affermiamo. Gli daremo ampio spazio e lo porteremo come esempio luminoso davanti all’opinione pubblica siciliana.
Certo, non si può dire virtuosa una Regione che non fa emergere davanti all’opinione pubblica i propri panni sporchi e preferisce scopare la polvere sotto il letto per non farla vedere. Poi, ogni tanto,vengono fuori arresti e condanne per il versante delle malversazioni, e condanne di risarcimento di danni per il versante delle disfunzioni.
I casi eclatanti sono la punta dell’iceberg. Bisognerebbe che il ceto politico avesse la forza morale di scavare e portare fuori quello che accade di indecoroso, ma esso stesso deve avere le carte in regola per fare questo. Se per primo dà un esempio negativo, non potrà pretendere che la burocrazia subordinata faccia di meglio.
Nessuno dei presidenti della Regione, che abbiamo conosciuto personalmente negli ultimi 35 anni, si è mai posto il problema della moralità nella Cosa pubblica. Cosicché il sistema è degradato e continua a scivolare su un piano inclinato verso l’inferno. Invece, c’è bisogno di risalire la china per dimostrare ai siciliani la voglia di fare, di far bene e di perseguire esclusivamente l’interesse generale, mettendo molto in subordine quello privato, personale, dei propri amici e dei propri parenti.
Non vogliamo fare il Girolamo Savonarola (1452-1498) della Sicilia. Non è il compito del giornalista. Ma non possiamo fare a meno di fotografare la situazione di costumi e comportamenti puttaneschi nell’ambito delle diverse pubbliche amministrazioni siciliane.
Anche in questo caso attendiamo smentite mediante esempi positivi di buon funzionamento (per il versante delle disfunzioni) e il risultato di indagini interne che dimostrino come la corruzione sia assente negli Assessorati, negli Enti e nelle Partecipate regionali. A buon intenditor…