Il dato è pessimo, perché non solo non è intervenuto a ridurre il debito sovrano, ma l’ha appesantito. Il ministro dell’Economia viene elogiato per il suo rigore. In effetti, si è trattato di un rigoricchio, cioè di una stretta quasi insignificante che non ha cambiato per nulla la struttura della spesa pubblica.
In modo ben diverso si è comportato il primo ministro britannico David Cameron, il quale come primo atto della sua manovra ha tagliato 500 mila dipendenti pubblici.
Proprio nel versante della pubblica amministrazione statale, regionale e locale Tremonti non solo non ha operato alcun taglio, ma ha consentito che i 3,5 mln di dipendenti pubblici avessero incrementi salariali di oltre il 4 per cento, ben superiore all’inflazione e agli incrementi dei dipendenti privati. Non solo, ma la spesa corrente non è stata compressa, per cui anch’essa è aumentata per un effetto inerziale insopprimibile.
Berlusconi continua a battere il tasto della riduzione della pressione fiscale, ma è un tasto stonato. Infatti la pressione fiscale non può essere diminuita se non si tagliano le spese, sia per restare dentro il Patto di stabilità europeo, che per cominciare a intervenire sul debito pubblico che è di 1.867 mld €.
è comprensibile la difficoltà di un Governo che deve tagliare le spese clientelari, cioè quelle che portano voti. Ma ormai siamo al redde rationem: non c’è più spazio per ulteriori gesti illusori. Si deve passare con decisione ad abbattere gli 80 mld annui di interessi sul debito contro la metà che hanno i più importanti partner europei. è questo il nodo della manovra. Il resto è solo propaganda.
La pubblica amministrazione italiana è piena di apparati. Quando gli ignoranti protestano contro i tagli, dovrebbero invece protestare per il fatto che i tagli non colpiscono gli apparati, cioè strutture inutili alla produzione dei servizi pubblici. Forse perchè chi protesta fa parte degli apparati e gode, come altre corporazioni, di rendite di posizione cui non vuole rinunziare.
L’ex presidente del Consiglio, Giuliano Amato, ha lanciato una proposta provocatoria e inattuabile per abbattere il debito pubblico: far pagare ai contribuenti che dichiarano da 15 mila € in su all’anno una cifra che andrebbe a impinguare il fondo ammortamento del debito pubblico. Si tratterebbe di una patrimoniale, come quella che egli stesso fece pagare agli italiani nel 1992, quando varò una manovra finanziaria di ben 96 mila mld di lire.
Tutti ricorderanno che la mattina dopo, chi era titolare di un conto corrente bancario o di un libretto di deposito, si trovò decurtato il saldo attivo dello 0,6 per cento. Non è questa la strada, perchè comunque sarebbe inutile dal momento che ogni anno vi è un disavanzo che si somma al debito pregresso.
è stata sbandierata l’ipotesi di alienare il patrimonio pubblico non funzionale all’esercizio delle attività istituzionali che non avesse caratteristiche storiche o archeologiche, ma l’idea è rimasta nei cassetti mentre attuando un piano rigoroso e adeguato, potrebbe portare nelle casse dello Stato 300 o 400 mld € da destinare esclusivamente al già citato fondo ammortamento debito pubblico, con l’effetto indiretto di abbattere sensibilmente i relativi interessi.
Da qualunque parte si giri, la questione del debito è centrale nella politica economica italiana, perché i circa 40 mld in più di interessi sono indispensabili per la crescita economica. Mantenendo questo gravame, il Governo ha le mani legate e invece deve sciogliersele al più presto. Oppure porterà il Paese al disastro.