E la Sicilia è un territorio marginale. Peraltro la morte dello stabilimento era stata decretata quando la fabbrica piemontese ha chiuso il contratto con la Zastava (in Serbia), oggetto del nostro editoriale del 3 luglio 2008.
Fin da allora fu lampante che il destino di Termini era segnato e solo sprovveduti politici e sindacalisti hanno pensato che potesse essere evitato. La causa della decisione della Fiat è nei fatti: una fabbrica il cui costo per prodotto è di un terzo superiore a quello di Melfi, non ha mercato.
E poi, per una fabbrica così piccola, non conviene la riconversione, perché la produzione è basata su grandi numeri.
I circa 2500 lavoratori diretti e indiretti devono cominciare a pensare ora, e non fra due anni, a riqualificare la loro professionalità e fare un altro mestiere che, nelle more, dev’essere progettato, programmato e realizzato.
La Regione, e per essa l’assessore all’Industria, si affanna a offrire quattrini pubblici alla Fiat, non comprendendo che, qualunque risorsa getti nella fabbrica di Termini, è semplicemente sprecata, in quanto non vi sono le condizioni per una produzione conveniente. Farebbe bene il Governo regionale a pensare a una soluzione drastica di tipo strutturale. Per esempio, quella di trasformare l’intero comprensorio industriale in uno turistico, mettendolo all’asta internazionale a condizioni estremamente convenienti e appetibili e andando per il mondo a spiegare i vantaggi di fare investimenti turistici a Termini Imerese cui certamente molti gruppi internazionali darebbero risposte positive.
Chi non va verso il mercato rimane penalizzato.
Anche il sindacato dovrebbe favorire questo progetto. Difendere una situazione antieconomica è inutile, perché può solo spostare in avanti il momento della fine. Mentre, pensando in grande e allungando lo sguardo, può trovare una soluzione del tipo prospettato da realizzare nei prossimi cinque anni.
Nel frattempo, cosa dovrebbero fare i lavoratori? Per loro dovrebbe essere applicato lo stesso trattamento dei dipendenti dell’Alitalia, secondo il principio che quanto vale a Roma deve valere a Palermo. Nel caso dell’Alitalia, ricordiamo, gli oltre 5 mila esuberi, cioè i dipendenti non assunti dalla Cai, sono stati messi in una sorta di impiego senza lavoro con uno stipendio pari all’80% di quello percepito e per ben sette anni. Dunque, un tempo lungo che sarebbe sufficiente per la realizzazione del progetto prima indicato.
La Sicilia è indietro rispetto alla Lombardia, con un Pil quattro volte inferiore, immutato rispetto al 1970. La sua crescita è affidata alla competenza e all’ingegno dei governanti regionali che, contemporaneamente, oltre a dovere affrontare le incombenze di tutti i giorni, devono generare progetti di medio e lungo periodo per fare di quest’Isola la nuova Catalogna.
Se c’è riuscito Jordi Pujol non si capisce perché non debbano riuscirvi i nostri governanti regionali, dal momento che, quando vogliono, i siciliani si tolgono l’anello dal naso e non sono secondi a nessuno.
Occorre dire basta alle imposizioni del governo centrale con cui, però, bisogna collaborare su linee di interesse comune. è vero che l’interesse nazionale deve prevalere su quello regionale, ma solo nel rispetto delle regole contenute nello Statuto siciliano, che dev’essere osservato da tutte le parti come legge costituzionale.