ROMA – Roberto Calderoli, reo di aver definito il ministro alle Pari Opportunità Cecile Kyenge simile a un “orango”, è l’esempio lampante della nostra democrazia distratta, dalla memoria corta. Stiamo parando di un personaggio politico i cui gesti e la cui lingua fanno più danni di una mandria di tori impazziti. Nel 2006, quando era ministro per la Semplificazione, mostrò divertito una maglietta raffigurante una vignetta satirica su Maometto. Seguirono a stretto giro: assalto al Consolato italiano a Bengasi, decine di morti, incidente diplomatico, scuse ufficiali e ovviamente dimissioni del Calderoli. Gli anni passano e del fattaccio resta solo una fotografia sbiadita. Fino all’altro ieri, quando il senatore leghista, di nuovo in veste istituzionale (è vice presidente del Senato), si lascia scappare l’insulto razzista. Ieri ha provato a mettere una toppa: “Ho chiamato il ministro e le ho chiesto scusa”. Tutto rientrato? Neanche per sogno. Enrico Letta vorrebbe le dimissioni e ieri ha chiamato in causa anche Roberto Maroni, leader della Lega e presidente della Regione Lombardia: “Purtroppo è una carica che non è oggetto di voto di sfiducia, ma così facendo  Maroni è correo dell’insulto”. (aleo)