Dopo dieci mesi di lavoro, può farci un’analisi dell’attività svolta?
“Mentre operavo nel Nord Italia, ho avuto il sentore che la Sicilia stesse cambiando e, quando sono venuto a Palermo, ho avuto conferma di questa sensazione. Il cambiamento l’ho riscontrato nella gente, nelle associazioni di categoria e nella società, e un esempio è fornito da Addio Pizzo. Penso che il buio dentro il quale prosperava la mafia stia sparendo, lasciando il posto a una concreta speranza di cambiamento. Tre o quattro anni fa non avremmo potuto parlarne, mentre oggi ci sono decine di persone che hanno deciso di denunciare il pizzo, confermando le accuse in sede dibattimentale. Ciò indica un cambiamento culturale notevole, anche se il fenomeno non è ancora così diffuso. Certamente, la strada è ancora lunga e i risultati conseguiti dalle forze dell’ordine e dalla magistratura contro “Cosa Nostra” non sono vittorie definitive nella guerra alla mafia. Sono fiducioso, però, che la guerra la vinceremo, perché ci sono i presupposti. La diga dell’omertà e dell’oppressione del pizzo mostra alcune crepe che la faranno crollare”.
L’imprenditore, quindi, può contare sulla presenza dello Stato?
“Sì, oggi non esistono più alibi e c’è una coscienza positiva della società civile che è di grande supporto alla nostra azione. Perciò la nostra attività si somma con quella della società civile, costituendo così il futuro positivo di questa terra”.
Quali risultati avete conseguito in questi mesi?
“In genere, la cattura di ogni latitante ha sempre previsto un lavoro imponente con risorse impegnate in modo permanente, però, buona parte degli sforzi sono stati rivolti al contrasto delle criminalità comune, più misconosciuta, ma non meno pericolosa. Riguardo la lotta alla mafia, a fronte della decina di latitanti ricercati, spiccano due personalità di rilievo, Domenico Raccuglia e Gianni Nicchi, entrambi inclusi tra i dieci latitanti più pericolosi d’Italia. Nonostante i colpi inferti negli ultimi anni, la mafia non ha rinunciato alla sua struttura fortemente verticistica dove c’è un capo riconosciuto, ci sono commissioni provinciali, una per ogni provincia e ci sono all’interno di queste ultime i mandamenti così che “Cosa Nostra” controlla l’intero territorio”.
Che effetti hanno avuto le vittorie conseguite dalle Forze dell’Ordine in questi anni?
“Le vittorie degli ultimi anni hanno portato ad un processo di destrutturazione di “Cosa Nostra”, per cui la struttura verticistica ha difficoltà ad articolarsi come un tempo. Esiste, pertanto, il pericolo di un processo di frammentazione che possa portare a organizzazione diversa simile alla camorra napoletana. Di fronte ad una struttura verticistica, infatti, si opera più facilmente che non di fronte a una massa informe di clan che puntano molto sulla criminalità comune. Qui è più difficile danneggiare l’attività criminale e la mafia potrebbe evolvere in una simile forma. Del resto, con la scomparsa dei vecchi capi, le seconde e terze linee dei capi hanno dovuto crescere in fretta, senza selezione da parte dei vecchi capi”.
Ritiene di possedere uomini e mezzi sufficienti per raggiungere maggiori obiettivi?
“Avere più uomini e mezzi non dispiace mai, anche perché si può operare meglio, ma esistono delle contingenze economiche nazionali e internazionali particolari che non si possono ignorare ed esistono realtà in Italia che richiedono altrettanta attenzione. Del resto, chi prende le decisioni, non può trascurare settori importanti come la Sanità a favore di altri, occorre essere concilianti con tutte le esigenze”.
Quanto personale avete a disposizione a Palermo?
“La questura ha a disposizione 3 mila uomini, che, però, non comprendono tutta la forza di polizia a Palermo che ne comprende 4500. In realtà, i 3 mila poliziotti dipendono direttamente dalla Questura cui si affiancano altri reparti che hanno compiti particolari come la Polizia postale, quella ferroviaria e i reparti mobili per l’ordine pubblico”.
Vista la frammentazione progressiva della struttura mafiosa, il vostro lavoro è divenuto più difficile?
“Sì, però un grande aiuto viene dalla tecnologia che ci permette di realizzare, grazie alle intercettazioni, massicci arresti e di svelare trame altrimenti più difficili da scoprire. È chiaro che occorre restare sempre un passo in avanti rispetto alla criminalità organizzata. Occorre adeguarsi ai cambiamenti operati dai boss e la tecnologia ci permette di tenerci al passo se non, appunto, di anticiparli”. Esistono degli strumenti di tutela che lo Stato deve attivare per proteggere le vittime del racket. Oggi, come polizia, scortiamo diversi imprenditori e tuteliamo i loro patrimoni fin dove è possibile. Perciò non esistono più alibi, gli strumenti di tutela ci sono e sono adoperati”.
Cosa si sta facendo, invece, per prosciugare le risorse finanziarie dei mafiosi così da bloccarne le azioni e il controllo territoriale?
“Far terra bruciata intorno ai boss, colpendo i patrimoni, è una strategia vincente e, oggi, ci sono beni sequestrati o confiscati ai boss per centinaia di milioni di euro. Il questore può richiedere al tribunale il sequestro dei beni degli indagati per mafia, perciò si tratta di analisi approfondite. Come Polizia di Stato, sono stati operati sequestri notevoli, tanto che il fondo giustizia e sicurezza è alimentato solo con questi fondi che sono reimpiegati a sostegno della lotta antimafiosa”.
Questo contribuisce alla frammentazione di “Cosa Nostra”?
“Sì, in effetti, quello che i mafiosi temono, oltre al carcere, è la perdita dei loro patrimoni che è la loro essenza. Colpendoli in questo punto, i mafiosi perdono il loro potere economico e il controllo sul territorio”.