8 marzo, indagine Inapp: "1 donna su 5 fuori dal mercato del lavoro dopo nascita figlio" - QdS

8 marzo, indagine Inapp: “1 donna su 5 fuori dal mercato del lavoro dopo nascita figlio”

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8 marzo, indagine Inapp: “1 donna su 5 fuori dal mercato del lavoro dopo nascita figlio”

Redazione  |
martedì 07 Marzo 2023

Motivazione prevalente la conciliazione tra lavoro e cura, seguita dal mancato rinnovo del contratto o licenziamento

Dopo la nascita di un figlio, quasi 1 donna su 5 (18%) tra i 18 e i 49 anni non lavora più e solo il 43,6% permane nell’occupazione (il 29% nel Sud e Isole). Motivazione prevalente la conciliazione tra lavoro e cura (52%), seguita dal mancato rinnovo del contratto o licenziamento (29%) e da valutazioni di opportunità e convenienza economica (19%). La quota di quante non lavoravano né prima, né dopo la maternità è del 31,8% e del 6,6% quella di quante hanno trovato lavoro dopo la nascita del figlio. È quanto emerge dal ‘Rapporto Plus 2022. Comprendere la complessità del lavoro’, che raccoglie i risultati dell’indagine Inapp-Plus condotta su un campione di 45.000 individui dai 18 ai 74 anni e che è stato presentato oggi a Roma, alla vigilia della Festa della Donna, nel corso di un convegno.

L’analisi del fenomeno

“Si tratta di un fenomeno – ha osservato Sebastiano Fadda, presidente dell’Inapp – che ha pesanti effetti demografici ed economici. L’Italia è l’ultimo paese per tasso di fecondità in Europa, e proprio nel 2022 è stato toccato il minimo storico di 400.000 nuovi nati; peraltro, la maternità continua a rappresentare una causa strutturale di caduta della partecipazione femminile. Il Paese – continua Fadda – non può più sopportare, oltre alla ‘fuga di cervelli’, anche questa altra forma di dispersione del capitale umano legata alla mancata valorizzazione e sostegno dell’occupazione femminile”.

Pesano condizione familiare, servizi di welfare e istruzione

Sul calo della partecipazione femminile dopo la maternità, infatti, pesano condizione familiare, servizi di welfare e istruzione. Nei nuclei familiari composti da un solo genitore sono più elevate le quote di uscita dall’occupazione dopo la maternità: 23% contro 18% tra le coppie. Nelle coppie invece è maggiore la permanenza nella non occupazione: 32% contro il 20% tra i monogenitori.

Poca disponibilità e accessibilità, anche economica, degli asili nido

Resta il nodo della poca disponibilità e accessibilità, anche economica, degli asili nido. “La scarsità di servizi per la prima infanzia – si legge nel Rapporto – è confermata dalla percentuale di genitori occupati che dichiara di non aver mandato i propri figli in età compresa tra 0 e 36 mesi all’asilo nido (56%). Tra coloro che invece mandano i figli al nido, poco meno della metà (48%) ha usufruito del servizio pubblico mentre una quota pari al 40% ha utilizzato un asilo nido privato e al crescere del reddito disponibile aumenta il ricorso ai servizi di asilo nido privati”. Per le famiglie che non possono farsi carico di tutti gli impegni di cura dei figli, i nonni sembrano essere l’alternativa più utilizzata (58%). Si tratta di un’opzione economicamente vantaggiosa e in generale flessibile. La risorsa principale del ‘welfare-fai-da-te’ è soprattutto utilizzata nel Mezzogiorno (63%). Il titolo di studio protegge dalla perdita del lavoro, ma solo in parte. Restano nel mercato del lavoro le più istruite (il 65% delle laureate), ma smette di lavorare oltre il 16% (sia di laureate, che di diplomate) contro il 21% delle madri con la licenza media.

Fondamentale un orario di lavoro più flessibile

Per conciliare lavoro e cura dei figli, circa un quarto degli intervistati ritiene fondamentale un orario di lavoro più flessibile, mentre un 10% indica la possibilità di lavorare in telelavoro o smart working. Il part-time è più frequentemente indicato dalle donne (12,4% rispetto al 7,9% degli uomini). Quest’ultimo dato, unito a quello relativo all’utilizzo dei congedi parentali (68,6% per le donne contro il 26,9% degli uomini), ribadisce un modello familiare che relega la componente femminile nel ruolo di caregiver principale, con evidenti ripercussioni occupazionali e retributive sia nel breve e che nel lungo periodo.

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