L’aeroporto di Preturo e l’aeroporto di Comiso - QdS

L’aeroporto di Preturo e l’aeroporto di Comiso

L’aeroporto di Preturo e l’aeroporto di Comiso

martedì 14 Luglio 2009

Sempre due pesi e due misure

Appena Berlusconi ha deciso di trasferire il G8 da La Maddalena a L’Aquila è stato messo in moto un comitato organizzatore per rendere funzionante il piccolo aeroporto di Preturo che si trova a sei chilometri dal capoluogo abruzzese. Era in condizioni disastrose ma in solo un mese e mezzo, l’Enav (Ente nazionale di assistenza al volo) e la Protezione civile lo hanno trasformato in uno scalo abilitato al traffico di grandi elicotteri e di aerei di media grandezza.
L’aeroporto di Preturo ha una pista di 1400 metri, una torre di controllo modernissima e i più recenti sistemi di assistenza al volo. Il traffico delle personalità non sarà stato quantitativamente grandissimo, ma è ovvio che tutti i servizi di sicurezza avranno testato gli impianti di quell’aerostazione. Peraltro il G8 si è concluso senza scosse, neanche quelle di Madre Terra e, dunque, le coup de théâtre di Berlusconi è pienamente riuscito: portare il mondo a L’Aquila.

Se pensiamo all’aeroporto di Comiso potremmo commentarlo con la famosa canzone di Riccardo Cocciante: “…che pena mi fa”. Sembra incredibile che un’aerostazione semplice, che ha un costo all’incirca di 50 milioni di euro, senza particolari problemi tecnici, rinvii di anni la propria apertura.
I soliti burocrati da strapazzo troveranno sempre qualche scusa per giustificare il ritardo, ma se si fa il paragone con l’aeroporto di Preturo qualunque di tali scuse va a disdoro di chi la propone. Se si confrontano i due aeroporti simili, uno si apre in un mese e mezzo e uno si tiene chiuso dopo anni.
Nessun responsabile di procedimento può raccontare all’opinione pubblica sciocchezze o inutili giustificazioni di un ritardo insopportabile. Il peggio della questione è che il ritardo non riguarda l’attivazione dei sistemi elettronici e di sicurezza, a carico della società di gestione (La Soaco Spa), controllata dalla Sac Spa di Catania attraverso l’Intersac Holding Spa, bensì dalla società appaltatrice, che continua a ritardare la consegna dei lavori al Comune di Comiso, per i quali manca sempre qualche firma, qualche timbro o qualche altra amenità di tal genere.

 
La vicenda che riportiamo è la maledizione che continua a tenere bloccata la Sicilia dopo oltre sessant’anni dalla sua autonomia. È inutile ricevere becere spiegazioni dal ceto politico e da quello burocratico. Il malfunzionamento delle istituzioni regionali e locali è la causa delle disastrose condizioni di quest’Isola.
La Baviera è la regione autonoma più ricca della Germania; la Catalogna, in poco più di trent’anni, è diventata la regione autonoma più ricca della Spagna, mentre la Sicilia è la regione autonoma più povera dell’Italia. Uno stato di cui dobbiamo vergognarci tutti e, in primo luogo, il ceto politico che ha il diritto/dovere di far crescere ordinatamente una comunità come quella siciliana.
Bisogna ribaltare la situazione. Occorre che tutti i procedimenti abbiano un responsabile, occorre che le leggi siano precise e scritte a maglie strette, occorre che i decreti assessoriali siano puntuali e tempestivi, occorre che la pubblica amministrazione regionale e locale sia governata da responsabili che devono guadagnare adeguatamente, ma, d’altra parte, devono rispondere personalmente dei mancati risultati.

In altre parole, ribadiamo, bisogna profondere nella Pa siciliana dosi massicce di due valori: merito e responsabilità.
Bisogna smetterla di andare dietro ai precari, che non hanno capacità di fare un lavoro produttivo. Bisogna smetterla di dare contributi a go-go a enti fantasma che arricchiscono le tasche dei loro gestori. Bisogna smetterla di bruciare oltre 200 milioni in una formazione che se cancellata, nessuno se ne accorgerebbe. Bisogna smetterla di utilizzare la carta al posto dei file per continuare ad alimentare una corruzione morale e materiale di dirigenti e dipendenti che dalla lunghezza dei procedimenti traggono benefici.
È una questione di metodo, ricordava Cartesio (René Descartes, 1596-1650). Se non si usa prima ancora del merito, si continua a protrarre una situazione non più sostenibile.

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