Meno pioggia nel Mediterraneo ma quando cade fa più paura - QdS

Meno pioggia nel Mediterraneo ma quando cade fa più paura

Rosario Battiato

Meno pioggia nel Mediterraneo ma quando cade fa più paura

giovedì 03 Novembre 2011

Studio internazionale del Noaa: negli ultimi 20 anni registrato il crollo delle precipitazioni invernali. La prevenzione deve tenere in considerazione gli effetti del cambiamento climatico

PALERMO – Diminuiranno i giorni di pioggia, ma ci saranno precipitazioni devastanti. Un fenomeno che deriva dai cambiamenti climatici che stanno sconvolgendo gli equilibri ambientali della terra. Lo dice uno studio del Noaa (National Oceanic and Atmospheric Administration), che ha spiegato come piogge e nevicate invernali nel Mediterraneo sono crollate ormai da 20 anni.
 
Lo stivale ne sta subendo le conseguenze già da diverso tempo, infatti ogni diluvio appena più consistente puntualmente sventra il territorio causando danni e morti dalla Sicilia alla Liguria. E la prevenzione o il controllo sul territorio latitano, perché da Giampilieri e Scaletta Zanclea nel 2009 alle Cinque Terre delle settimane scorse niente è cambiato.
L ‘analisi, pubblicata dal Journal of Climate, ha esaminato i dati dal 1902 allo scorso anno. I maggiori responsabili, secondo lo studio, sono i gas serra causati dall ‘uomo. Il risultato è scaturito  da diverse simulazioni. Nel mirino dei gravissimi cambiamenti climatici ci sarebbero entrambe le sponde del “mare Nostrum”, dove una percentuale tra il 60 e l ‘80% dell ‘acqua potabile viene usata per irrigare i campi.
I risultati sul territorio sono già drammatici. I fenomeni di vulnerabilità del suolo riguardano ormai diverse regioni italiane, ma c ‘è soprattutto la Sicilia nel mirino del rischio.
Gli ultimi dati diffusi dall ‘Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) spiegano come tra il 1990 e il 2000 il 70% della superficie siciliana ha presentato un grado medio-alto di vulnerabilità ambientale. La desertificazione resta uno dei crucci principali del territorio isolano (la Sicilia è la regione più a rischio d’Italia), ma il fenomeno sta coinvolgendo anche realtà prima immuni. Così alle aree a tradizionale vocazione, che sarebbero Puglia, Calabria, Basilicata e Sardegna, si sono aggiunte anche Piemonte, Liguria, Toscana e Abruzzo.
Il dato in dettaglio della vulnerabilità del territorio, oltre il 70% della Sicilia, fa segnalare il 58% del Molise, il 57% della Puglia e il 55% della Basilicata. Il record isolano si confronta con la cronaca di tutti i giorni. Nell’ultimo mezzo secolo sono state oltre un centinaio le vittime causate da un territorio sin troppo friabile. L’ultima tragedia risale ai noti fatti del messinese nell’ottobre del 2009 che causò la morte di 37 persone.
Tra il 2009 e il 2010, secondo una ricognizione realizzata dall’Ispra, la Sicilia ha pagato un tributo, in termini di danni economici, pari a oltre 1 miliardo di euro.
Le responsabilità della desertificazione, spiegano dall’Ispra, sono da addebitare alle caratteristiche naturali del terreno – l’Arpa (Agenzia regionale per la protezione ambientale) in un recente studio ha certificato la friabilità del territorio isolano soprattutto in alcune aree del messinese – ma anche all’eccessiva antropizzazione da cui deriva lo sfruttamento eccessivo del suolo. Le responsabilità sono da addebitare all’assenza di strumenti di controllo del territorio che permettono le tristemente note colate di cemento che devastano l’Isola.

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