Abbiamo voluto esserci, a Roma, il 28 e 29 marzo, perché solo quando si è in un ambiente come quello costruito sapientemente dai collaboratori di Silvio Berlusconi, si capisce la capacità di organizzare e di infondere entusiasmo alle truppe, come faceva Napoleone quando riusciva a battere gli avversari quattro o cinque volte superiori di numero.
Dieci telecamere schierate, il braccio mobile che riprendeva la platea di seimila presenti, un immenso palco con un piccolo banco di presidenza, ove sedevano cinque o sei persone, e la tribuna ove di volta in volta si alternavano i comunicatori. Questo era l’ambiente, nel quale si inserivano stacchi musicali sapientemente preparati dalla regia, con inquadrature televisive adeguate e primi piani. Nelle prime file, all’inizio sono stati piazzati giovani ragazzi e ragazze (qualche maligno ha detto presi anche fra i figuranti, ma noi non ci crediamo). Successivamente, essi sono spariti e tutti i maggiorenti del Popolo della Libertà si sono piazzati nelle prime file.
Una grande kermesse, una grande scenografia, grandi effetti. E poi? E poi il discorso introduttivo di Silvio Berlusconi, abbastanza ampio ma senza particolare calore, i due discorsi eccellenti di Gianfranco Fini e di Roberto Formigoni: tutto il resto è noia. Molti degli intervenuti sembravano replicanti che avevano attinto al famoso libro di luoghi comuni scritti da Gustave Flaubert in Dictionnaire des idées reçues (lo Sciocchezzaio), alcuni leggevano come scolaretti e scolarette, altri parlavano a braccio ma sembrava che avessero imparato a memoria la lezione.
Pochi spunti culturali, poche citazioni attinte alla storia, alla filosofia, alla letteratura, come se il passato, quello vero, esistesse poco. Tutti facevano riferimento al minuscolo recente passato di 15 anni (dal ‘94 a oggi), come se il Paese non avesse vissuto dal ‘46 al ‘94 e tutto il periodo anteguerra, subendo due guerre mondiali e una dittatura da operetta.
L’ampia cronaca e la pubblicazione integrale dei discorsi di Berlusconi e di Fini ci esimono dal parlarne ulteriormente. Tuttavia, non possiamo evitare la sottolineatura di quest’ultimo quando si è riferito al referendum, come momento di democrazia diretta. Importante è il riferimento al 7 giugno come giorno di svolgimento dello stesso, insieme a elezioni europee e amministrative, anche se tale data non è stata ancora ufficializzata dal Consiglio dei ministri.
Fini ha fatto anche riferimento alla pessima legge votata dal Senato sul testamento biologico, sostenendo che essa è illiberale, da Stato etico e non da Stato laico. Ha parlato di un partito pluralista che dia veri poteri al premier, ma bilanciati dal controllo del Parlamento che, ovviamente, deve dimagrire quanto a numero di componenti, trasformando il Senato doppione in Senato delle Regioni.
La parte più folkloristica è stata quella dell’approvazione dello Statuto, già preconfezionato, sul quale non è stato possibile da parte di nessuno dei delegati presentare alcun emendamento. Infatti, l’orario di presentazione era fissato per le ore 14 di sabato 28 marzo, ma il testo è stato portato in aula oltre tale orario. Naturalmente, è stato approvato all’unanimità come all’unanimità, per acclamazione, è stato proclamato presidente Silvio Berlusconi.
La parte più interessante dello Statuto è che il presidente eletto nomini i 28 componenti del comitato di presidenza, tal che in questo modo è assicurata la gestione unitaria del partito, in cui avranno grandi difficoltà a parlare coloro che avranno idee un po’ diverse da quelle del capo.
Sorprendente una parte del discorso di Formigoni, quando ha detto agli amici della Lega che essi contano per meno di un sesto della maggioranza e che quindi stiano al loro posto. Ha aggiunto che il Sud è fondamentale per il Paese e che senza il Sud l’Italia resta al palo.
Nella kermesse sono state espresse mille intenzioni, prima fra esse la modernizzazione del Paese. Aspettiamo di vedere atti legislativi concreti, primo fra i quali l’eliminazione totale o parziale dei privilegi della Casta politica e burocratica.