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Partecipate: la farsa delle dismissioni

Enti locali. Riorganizzare le società per servizi più efficienti. Serbatoi clientelari. Nate per far fronte, in house, a servizi generalmente intesi come pubblici, sono diventate vasche piene di posti di lavoro in cui piazzare amici e parenti. Discrezionalità. I Comuni potranno opporsi alla privatizzazione dimostrando che i servizi gestiti dalla società non sono liberalizzabili o che non vi siano state risposte al bando di gara.

PALERMO – Il Governo nazionale ha già da tempo imboccato la strada della riorganizzazione in tema di partecipate. A partire dalla finanziaria del 2008 (legge 244/2007), infatti, si è sempre più spinto verso la razionalizzazione delle società in cui i Comuni hanno partecipazione diretta al 100 per cento, in favore dell’apertura al mercato di quelli che sono attualmente gestiti come servizi meramente pubblici.
Nate per far fronte attraverso un meccanismo in house a servizi tipicamente intesi come pubblici, tali società sono diventate col tempo organismi clientelari, vasche piene di posti di lavoro in cui piazzare amici e parenti, con onerosi Consigli di amministrazione che hanno inciso pesantemente sui bilanci degli Enti locali.
Le intenzioni di riforma sembrano buone, ma a giudicare dalle leggi il percorso è ancora lungo e tortuoso.