Il neo assessore al Lavoro Luigi Gentile alle prese con una serie di emergenze mai risiolte. Il ritratto dell’emigrato: persone con meno di 45 anni e livello di studio medio-alto
PALERMO – “Il fenomeno dell’emigrazione, con tutte le relative problematiche che sono state avanzate dalle varie associazioni del settore, diventerà un punto fermo di questo governo siciliano”.
Parola del neoassessore regionale al Lavoro e all’Emigrazione Luigi Gentile che sotto questo aspetto dovrà lavorare notevolmente anche per recuperare quella credibilità persa dalla Regione nei confronti degli emigrati siciliani e di tutte le associazioni che li rappresentano. Il fenomeno dell’emigrazione resta ancora fortissimo e l’ultima ricerca dello Svimez ha confermato l’allarme: in 12 mila hanno lasciato nell’ultimo decennio la Sicilia che resta la terza regione d’Italia con il più alto numero di emigrati.
“Lavoreremo – ha aggiunto Gentile – ascoltando soprattutto il mondo di categoria per raccogliere tutte le istanze”. Sta di fatto che l’Italia continua a presentarsi come un Paese spaccato in due sul fronte migratorio: a un Centro-Nord che attira e smista flussi al suo interno, corrisponde in particolare una Sicilia che espelle giovani e manodopera senza rimpiazzarla con pensionati, stranieri o individui provenienti da altre regioni.
I posti di lavoro nell’Isola sono in numero assai inferiore a quello degli occupati. Ed è la carenza di domanda di figure professionali di livello medio-alto a costituire la principale spinta all’emigrazione secondo lo Svimez. Un quadro tra l’altro confermato anche da altri recenti indagini statistiche, come quella di Movimprese che, nei primi tre mesi del 2009, tra aperture e chiusure, ha potuto appurare che le imprese degli immigrati in Sicilia sono cresciute di 130 unità: un tasso di crescita dell’1,3 per cento, che ha portato il numero delle imprese individuali con titolare nato in un paese non appartenente all’Unione europea a quota 13 mila 164, il 5,4 per cento di tutte le microimprese.
Nell’ultima rilevazione trimestrale le imprese individuali con titolare extracomunitario erano 13 mila e 34 e segnavano un incremento in controtendenza pari al 4,1 per cento sul totale. Sono in crescita in tutte le province, tranne ad Enna.
C’è anche la fotografia dell’emigrato-tipo siciliano: sono giovani e con un livello di studio medio-alto; l’80 per cento ha meno di 45 anni e quasi il 50 per cento svolge professioni di livello elevato. Il 24 per cento è laureato. Spesso sono maschi, singles, dipendenti full time in una fase transitoria della loro vita, come l’ingresso o l’assestamento nel mercato del lavoro. Dunque in Sicilia si continua a verificare la cosiddetta fuga di cervelli.
Proprio da questo punto di vista la Sicilia, con più di 25 mila studenti fuorisede, si piazza al quinto posto, secondo i dati del Miur, nella negativa classifica delle regioni che vedono emigrare i loro ragazzi per studiare al centro-nord.
Ma il fenomeno dei fuorisede, oltre a determinare una “fuga di cervelli”, ha anche un forte costo economico. Infatti, secondo recenti indagini Istat, i ragazzi che vanno a studiare fuori fanno perdere all’economia siciliana 260 milioni di euro ogni anno. Numeri importanti se si considera la marginalità dell’economia siciliana che non riesce a decollare anche sul piano della tecnologia imprenditoriale. Questo perché i manager del futuro non trovano spazio nell’Isola e fanno crescere altre realtà. E come sempre l’impresa siciliana, che non riesce quasi mai a guardare lontano, resta a bocca asciutta.