Un falso ricostruito su un pregiudizio religioso e sociale risalente alla seconda metà del XV secolo
Confezionare notizie false e ingannevoli, da fare circolare rapidamente con i media, è quasi sempre agevole, mentre è più complesso smascherarle.
Una notizia falsa in danno degli ebrei ha sfidato i secoli e per decretarne la sua definitiva archiviazione, con l’apposizione della pesante timbratura di falso, è stato in ultimo opportuno organizzare una serie di iniziative culturali. Infatti, nel corso di questo mese di aprile il Museo diocesano tridentino, in collaborazione con l’Università di Trento, ha realizzato una mostra e altre manifestazioni per far luce su un falso ricostruito su un pregiudizio religioso e sociale risalente alla seconda metà del XV secolo. La mostra, che ha avuto sede a Trento, è stata denominata “L’invenzione del colpevole” e si è proposta il fine di dimostrare che è possibile correggere un errore causato da preconcetti religiosi e dall’ignoranza, per lo meno nella storia.
I fatti risalgono al Giovedì santo del marzo del 1475: in quei giorni ormai trascorsi e lontani, non soltanto nel tempo, erano frequenti le tensioni e gli attriti tra ebrei e cristiani, questi ultimi con gli animi infiammati dalle predicazioni della settimana della Passione. Era accaduto che un bambino dell’età di circa due anni, noto con il nome di Simonino, mancasse dalla casa dei propri genitori, a Trento, e che un ebreo di nome Samuele di Norimberga, avendone rinvenuto il corpicino senza vita nel canalone che passava ai piedi della propria casa, avesse doverosamente e tempestivamente denunciato il ritrovamento alle autorità. A questo punto una fake news, molto diffusa in tutta Europa sin dall’anno mille ebbe subito a generarne un’altra, se possibile ancora più orrida. Si affermava falsamente che gli ebrei fossero soliti uccidere bambini cristiani per utilizzarne il sangue nella produzione del pane azimo (matzot) di cui si cibavano nel corso della Pasqua ebraica (Pesach).
La notizia, tendenziosamente e maliziosamente creata da gruppi antiebraici, era assolutamente falsa, ma continuava a circolare incessantemente e a essere creduta. La denuncia presentata da Samuele di Norimberga alle autorità, in questo clima avvelenato, venne considerata un’autodenuncia, cosicché lui, i suoi familiari e altri ebrei vennero prontamente incarcerati, orribilmente torturati e straziati sino a estorcere loro non volute confessioni. Infine, quando erano ormai rei confessi, furono mandati al rogo.
Ben presto l’inconsapevole martire Simonino divenne oggetto di culto e, a dire del popolo, pure munifico dispensatore di miracoli. La devozione è proseguita, con grande riscontro nella credenza popolare, sino al 1961, quando una signora ebrea triestina di nome Gemma Volli sollecitò approfondimenti su questo culto basato su un intuibile falso storico. La seguì in questa via il sacerdote e cultore di storia Igino Rogger, che chiese al vescovo l’apertura di una vera e propria indagine. I risultati fecero chiarezza sulla circostanza che quel bambino non venne ucciso da ebrei, né tantomeno per ragioni rituali e invece che questi ultimi erano stati vittime assolutamente incolpevoli, capaci di pagare con indicibili sofferenze e con la vita.
Nel 1965 il vescovo di Trento abolì, infine, quel culto che non avrebbe mai avuto ragion d’essere, in conseguenza la salma del piccolo venne rimossa dalla chiesa che l’accoglieva e collocata in una sede rimasta sconosciuta, per interrompere una tradizione antica e difficile da sradicare.