Recovery fund e Mes, occasione per riformare la sanità italiana - QdS

Recovery fund e Mes, occasione per riformare la sanità italiana

Recovery fund e Mes, occasione per riformare la sanità italiana

venerdì 25 Settembre 2020

Interviene Cimo-Fesmed: “Sinergia tra ospedali e territorio”

ROMA – La tragedia della pandemia Covid-19 è ancora in corso e lungi dal potersi considerare terminata. Eppure, a questa autentica catastrofe sanitaria ma anche economica è legata la possibilità di rifinanziare in maniera più adeguata di quanto fatto negli ultimi decenni la sanità pubblica italiana. È in arrivo una vera e propria pioggia di miliardi di euro dai fondi stanziati dall’Europa con il cosiddetto Recovery Fund ai quali, si spera, che si possano aggiungere quelli del Mes. Si parla al momento di una “torta” di circa 68 miliardi di euro, ma non sfugge l’importanza che queste risorse vengano spese bene e per tempo. Serve un progetto d’insieme a livello nazionale che sia in grado di armonizzare le varie forme di assistenza (ospedale, territorio, emergenza).

Questo, in estrema sintesi, è il giudizio dato da Cimo-Fesmed sul documento messo a punto dal Ministero della Salute che finora non fa altro che raccogliere una serie di progetti regionali che rischiano di rimanere slegati tra loro senza la necessaria visione strategica, indispensabile per un vero rilancio del Ssn. Per il presidente di Cimo-Fesmed, Guido Quici, “se si intende consolidato il taglio dei 120.000 posti letto degli ultimi dieci anni, se si prevede l’incremento di oltre 7.000 posti letto di terapia intensiva e sub intensiva senza medici specialisti, se continua a regnare la confusione tra Reparti Covid e non Covid, il sistema salute salta definitivamente sia a livello di ospedale che di territorio”.

“L’esperienza Covid – aggiunge Quici – ci ha insegnato che occorre ridisegnare la rete ospedaliera, che occorre un riequilibrio all’interno di ciascun ospedale per evitare che le patologie non Covid siano trattate con minor impegno, che occorre garantire la maggiore flessibilità organizzativa e tutto questo non è presente in nessuno dei 20 progetti.”

Per Cimo-Fesmed le priorità sono tre:

1) Ripensare criticamente la governance delle aziende ospedaliere e il ruolo del direttore generale, suddito del proprio Governatore ma monarca nella propria azienda, per evitare che professionisti e cittadini continuino a subire passivamente i processi decisionali del management subendone gli effetti postivi o negativi.

2) Ripensare al sistema di pagamento prospettico che attraverso i Drg diventa fonte di inappropriatezza e di comportamenti opportunistici, finanziare e calibrare adeguatamente i Lea; è ancora valido un Fondo sanitario nazionale che preveda, in un unicum, il finanziamento dell’assistenza ospedaliera, territoriale, dei beni e servizi e del costo del personale? Occorre intervenire con finanziamenti straordinari che eliminino le inefficienze, le diseguaglianze e garantiscano la sostenibilità del sistema.

3) Sulla politica del personale la posizione di Cimo-Fesmed è da sempre stata molto chiara: occorre che la sanità pubblica discuta i propri contratti di lavoro con il Ministero della Sanità e con le Regioni, occorre che il finanziamento del personale dipendente sia svincolato dal Fsn per evitare che eccessi di spesa in altri settori penalizzino fortemente i professionisti, occorre garantire una partecipazione attiva dei sanitari alla pianificazione delle attività sanitarie.

La relazione del Ministro della Sanità, Roberto Speranza, presentata in commissione Affari Sociali alla Camera, lascia intravedere una piccola luce in fondo al tunnel, sia perché ci sono ancora tre mesi per presentare alla Commissione Europea un piano organico di proposte per l’utilizzo delle risorse del Recovery Fund sia per l’apertura dichiarata tra lo stesso ministro e le parti sociali.

Cimo-Fesmed ritiene in particolare molto valida questa nuova opportunità per aprire un dibattito che possa consentire al Ministro di comprendere appieno le vere aspettative dei cittadini e dei professionisti nei confronti di un sistema sanitario che non necessita di una costosa manutenzione ma di un coraggioso e radicale cambiamento strutturale, costruito su una visione organica e complessiva, in linea con la profonda evoluzione sociale, epidemiologica, demografica e tecnologica degli ultimi 40 anni. Nel merito, valutiamo positivamente l’opportunità del Recovery fund, né abbiamo pregiudizi sull’accesso al Mes, entrambi utili per supportare questo urgente cambiamento (se non ora, quando?) ma siamo fortemente preoccupati di fronte al rischio che l’utilizzo dei fondi europei sia gestito con una visione di corto respiro e con effetti puramente “verticali”, senza risolvere quei problemi che hanno caratterizzato la sanità degli ultimi anni. Con il rischio di avere un “saldo negativo” nelle tasche dei cittadini.

Se pure l’analisi e gli obiettivi esposti dal Ministro della Salute in Commissione sono del tutto condivisibili, ciò che davvero manca è il motore. In sostanza, l’on. Speranza ha confermato quanto denunciato per anni da Cimo e Fesmed, cioè che la sanità italiana è stata oggetto di una “lunga stagione di tagli”, che la sanità è sempre stata “considerata un costo e non una risorsa” e che, negli ultimi anni, è stata progressivamente ridotta l’offerta ospedaliera senza potenziare l’offerta territoriale nonostante – aggiungiamo noi – che tra il 1985 e il 2001 la ripartizione del Fsn a favore dell’assistenza ospedaliera sia scesa, in modo stabile, dal 59,8% al 44%, rimanendo poi sostanzialmente fermo a quel livello, se non inferiore.

Restiamo in attesa di conoscere, per un confronto, gli interventi che il Governo intende adottare per aggiornare il DM 70/15, nella consapevolezza che, al di là del grosso impegno economico per sostenere l’edilizia sanitaria e la sicurezza delle strutture, occorre ridefinire il vero ruolo dell’ospedale in sinergia e continuità con il territorio, dare una diversa organizzazione e modalità di finanziamento delle strutture ospedaliere ma, soprattutto, occorre rivedere la governance per evitare i continui atti monocratici nelle gestioni delle strutture sanitarie che danneggiano cittadini e professionisti della sanità. Ed è infine proprio il ruolo di questi ultimi che manca nella visione di una nuova sanità che ha l’opportunità, ci ricorda il Ministro, di attuare riforme non in ristrettezze economiche ma in un contesto “espansivo” straordinario (quindi, se non ora, quando?) e tanto dovrebbe essere sufficiente per valorizzare contrattualmente il lavoro di circa un milione di operatori sanitari.

Il problema dunque non sta nell’analisi dell’attuale contesto o nella mera elencazione di attività di intervento necessarie, quanto nella possibilità di avviare una controriforma che sia duratura nel tempo, strutturale e sostenibile, e che soprattutto porti ad un vero rilancio del nostro SSN.

La Comunità europea chiede credibilità negli interventi da attuare e non una semplice manutenzione, ad alto costo, di ciò che già esiste e che, spesso, non funziona proprio per gli errori di programmazione e di controllo della spesa che hanno caratterizzato l’ultimo ventennio. C’è quindi ancora un ristretto margine di tempo per un confronto e per evitare l’ennesima “deriva” e replicare errori che indirizzino verso le solite “secche”, di cui la stessa Europa potrebbe alla fine chiederci conto.

Cimo-Fesmed
Sicilia

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