Mafia, fece uccidere Livatino, torna a guidare la Stidda - QdS

Mafia, fece uccidere Livatino, torna a guidare la Stidda

Mafia, fece uccidere Livatino, torna a guidare la Stidda

martedì 02 Febbraio 2021

E' emerso dall'inchiesta del Ros che ha portato a 22 fermi. Il boss ergastolano godeva della semilibertà dopo aver scontato 25 anni per l'omicidio del magistrato proclamato beato da Papa Francesco

Nel mandamento mafioso di Canicattì la Stidda torna a riorganizzarsi e ricompattarsi attorno alle figure di due ergastolani riusciti a ottenere la semilibertà.

In particolare uno dei capimafia, indicato come il mandante dell’omicidio del giudice Rosario Livatino, avrebbe sfruttato i premi che in alcuni casi spettano anche ai condannati al carcere a vita, per tornare a operare sul territorio e rivitalizzare la Stidda che sembrava ormai sconfitta.

E’ emerso dall’inchiesta del Ros che oggi ha portato a 22 fermi.

Dopo aver scontato 25 anni per l’assassinio del giovane magistrato, trucidato il 21 settembre del 1990 e da poco proclamato Beato da Papa Francesco, il boss Antonio Gallea è stato ammesso alla semilibertà dal tribunale di sorveglianza di Napoli il 21 gennaio del 2015 perché ha mostrato la volontà di collaborare con la giustizia.

L’altro capomafia attorno al quale la Stidda si sarebbe andata ricompattando ha scontato 26 anni ed è stato ammesso al beneficio della semilibertà il 6 settembre del 2017 e autorizzato dal tribunale di Sassari a lavorare fuori dal carcere. Anche lui avrebbe mostrato l’intenzione di aiutare gli investigatori.

Una “collaborazione” che la giurisprudenza definisce “impossibile”, in quanto entrambi hanno parlato di fatti già noti alla magistratura non apportando, dunque, contributi nuovi alle indagini, ma che ha consentito a tutti e due di beneficiare di premialità.

Morra, colpisce la figura di Gallea

“Colpisce – ha detto il presidente della Commissione antimafia Nicola Morra commentando l’operazione – la figura di Gallea mandante dell’omicidio in semilibertà che aveva ricostituito la sua cosca. Colpisce la possibilità di comunicazione nelle carceri dei boss, aspetto che ho sempre sottolineato come gravissimo e a cui ho dedicato audizioni in commissione Antimafia. Ho il timore che vi sia una grave disattenzione della politica alla lotta alle mafie, e che solo magistratura e forze dell’ordine siano sul campo”.

Concorrenza a Cosa nostra

Dall’inchiesta è emerso che gli stiddari sono tornati a far concorrenza a Cosa Nostra, con la quale alla fine degli anni ’80 si erano fronteggiati in una guerra con decine di morti.

Stavolta la “competizione” tra le due organizzazioni criminali non ha ancora visto spargimenti di sangue, anzi le due mafie si sarebbero spartite gli affari. Come quelli nel settore delle mediazioni nel mercato ortofrutticolo, uno dei pochi produttivi della provincia di Agrigento.

Dall’indagine viene fuori inoltre che gli stiddari avrebbero usato la loro forza intimidatoria per commettere estorsioni e danneggiamenti. Scoperto anche un progetto di omicidio di un commerciante e di un imprenditore, evitato grazie all’intervento degli investigatori.

La Stidda – hanno scoperto i militari dell’Arma – poteva contare su un vero e proprio arsenale di armi.

I clan controllavano mercato agroalimentare

La mafia agrigentina controllava e sfruttava il settore del commercio di uva e altri prodotti agricoli nella provincia accaparrandosi ingenti risorse economiche che andavano ad alimentare le casse dei clan e limitavano il ricorso ad attività illecite rischiose come il traffico di droga.

Nello stesso tempo le cosche presidiavano la principale attività economica del territorio in una provincia saldamente legata al mercato agroalimentare. Il particolare è emerso nell’inchiesta dei carabinieri del Ros che oggi ha portato a 22 fermi.

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