Cosa successe la notte del 25 febbraio 1965 a Miami, dopo la gara di pugilato per il titolo dei pesi massimi, quando il nuovo campione Cassius Clay incontrò in una stanza d’albergo il proprio mentore Malcolm X, il cantante Sam Cooke e il giocatore di football Jim Brown?
ONE NIGHT IN MIAMI
Regia di Regina King, con Kingsley Ben-Adir (Malcolm X), Eli Goree (Cassius Clay), Aldis Hodge (Jim Brown), Leslie Odom jr. (Sam Cooke).
Italia 2020, 110’.
Distribuzione: Amazon Prime Video
Cosa successe la notte del 25 febbraio 1965 a Miami, dopo la gara di pugilato per il titolo dei pesi massimi, quando il nuovo campione Cassius Clay incontrò in una stanza d’albergo il proprio mentore Malcolm X, il cantante Sam Cooke e il giocatore di football Jim Brown? Scritto da Kemp Powers e diretto da Regina King (nota attrice, qui alla sua prima regia), One Night in Miami prova a offrire una visione ipotetica di quell’incontro, incrociando la sfera privata dei protagonisti con l’affresco socio-politico di un’epoca calda per la storia degli Stati Uniti, a tre mesi dall’omicidio di J.F. Kennedy e nel bel mezzo dell’acceso dibattito parlamentare sul Civil Right Act.
Ring e swing. Il primo atto presenta singolarmente i personaggi in contesti diversi, mostrando con ottima sintesi visiva e narrativa pregi e difetti di ognuno di loro, e costruendo episodi che ruotano attorno alla (im)possibilità di una vera integrazione tra neri e bianchi d’America. Dialoghi brillanti, ritmo incalzante, una fotografia satura che dipinge con enfasi un’epoca dai forti contrasti. Motore dell’intreccio è Malcolm X, qui all’apice del proprio percorso di radicalizzazione politica, dipinto come disperato e rancoroso, e per questo pericoloso. È lui a riunire gli amici a Miami, per l’annuncio della conversione di Cassius Clay alla religione musulmana e del proprio abbandono alla Nazione dell’Islam.
Luogo di emersione dei conflitti interni alla popolazione nera d’America, in bilico tra forti spinte conformiste e istanze violente, la stanza d’albergo in cui i quattro avrebbero dovuto festeggiare la vittoria del pugile diventa lo scenario di uno scontro identitario che metterà in discussione le scelte personali e la visione politica di ognuno dei protagonisti.
Verbosa ed eccessivamente legata al dibattito interno sul ruolo decisivo delle celebrità per il percorso di emancipazione sociale ed economica della comunità nera, la parte centrale risente dell’origine teatrale della sceneggiatura. La regia, però, il cui maggior pregio rimane comunque una perfetta direzione degli attori, regala intensi momenti di intimità, come la sequenza della preghiera islamica, che riescono a raccontare in maniera diversa, più esistenziale, un periodo storico spesso dipinto convenzionalmente tramite il contrasto tra divergenti spinte emotive collettive.
Il rischio di fare dei protagonisti dei “santini” della comunità nera d’America è ovviamente dietro l’angolo, ma la sceneggiatura ha il pregio di scavalcare certi stereotipi razziali e far emergere – cosa rara – un principio di coscienza borghese nera.
Voto: ☺☺☺☻☻