Dall’emergenza alla normalità. È possibile? E a quale prezzo? - QdS

Dall’emergenza alla normalità. È possibile? E a quale prezzo?

Dall’emergenza alla normalità. È possibile? E a quale prezzo?

giovedì 16 Dicembre 2021

Si profila all’orizzonte un “ritorno al futuro” ben diverso da quello che ci si poteva attendere, con ospedali ancora bloccati esclusivamente nella lotta al Covid

In Italia lo stato di emergenza, sulla base della normativa vigente (Decreto Legislativo n° 1 del 2 gennaio 2018), può essere dichiarato per 12 mesi, prorogabili al massimo di altri 12. La dichiarazione dello stato di emergenza da parte del Governo Conte risale al 31 gennaio 2020 e quindi ci avviciniamo a grandi passi verso il suo limite temporale massimo fissato al momento al 31 dicembre 2021 e prorogabile fino al 31 gennaio 2022. E dopo che succederà? Le ipotesi sono due: o si torna alla normalità e si modifica la legge e si proroga ulteriormente. Se il Governo Draghi non volesse o non riuscisse a prorogare lo stato di emergenza oltre la data prevista dalla legge in vigore, diverse norme introdotte dai vari Decreti legge e dai DPCM durante questi quasi due anni di pandemia potrebbero non trovare più applicazione proprio in virtù del venir meno di questa condizione di eccezionalità che ha consentito l’introduzione di obblighi e restrizioni eccezionali.

Tutto ciò potrebbe avvenire in un contesto nazionale in cui lo stato dei contagi e dei ricoveri ospedalieri per Covid sono ancora ben lontani dal potere considerare terminata l’emergenza epidemiologica e in uno scenario internazionale ancora peggiore e in cui l’Oms non sembra per nulla intenzionata a dichiarare finita la pandemia.

Allo scadere dello stato di emergenza che attribuisce al Governo e alla Protezione Civile poteri straordinari, il ritorno alla “normalità” potrebbe comportare il rischio di non potere più ricorrere a provvedimenti legislativi urgenti e incisivi di contenimento dell’epidemia da SarsCov2 a meno che Governo e Parlamento non riescano ad adottare in fretta nuovi provvedimenti legislativi, svincolati dallo stato di emergenza stesso, ma in grado di far fronte comunque alla diffusione dell’epidemia.

La situazione non è per nulla semplice, anche in considerazione delle posizioni assunte dagli stessi partiti politici che in atto rappresentano la variegata maggioranza di Governo che, nell’ottica del proprio tornaconto elettorale, vedono la vicenda da posizioni assai distanti tra loro se non addirittura inconciliabili. In uno scenario politico in cui la priorità attuale è se Draghi sarà il prossimo Presidente della Repubblica o meno, la questione della proroga dello stato di emergenza sembra essere passata in secondo piano.

Vediamo allora cosa significherebbe tornare alla “normalità” dal 1° febbraio prossimo: alcuni provvedimenti resterebbero in vigore dal momento che i Decreti Legge adottati dai Governi guidati da Conte prima e da Draghi poi, sono alla fine stati convertiti in Legge dal Parlamento italiano e quindi non correrebbero il rischio di decadere al venir meno dello stato di emergenza. Lo stesso non si può dire per altri provvedimenti strettamente legati alla situazione emergenziale che dura da circa due anni, a cominciare dalle assunzioni straordinarie di personale sanitario in deroga ai tetti di spesa e anche alle normative vigenti relative ai requisiti da possedere per l’accesso al lavoro nell’ambito del Ssn. Le strutture commissariali, da quella guidata dal generale Figliuolo a quelle sparse per le varie Regioni italiane, non potrebbero sopravvivere se non attraverso interventi normativi specifici.

Per mantenere operative le Usca e i cosiddetti Hub Vaccinali sarebbe necessario un intervento legislativo ad hoc anche e soprattutto per consentire eventuali proroghe assunzionali a tempo determinato.

A parte tutto ciò, non sembra che durante questi due anni, trascorsi tra mille difficoltà e senza che il virus se ne sia andato definitivamente, né il governo nazionale né le Regioni siano riuscite a prevedere e a provvedere a soluzioni alternative per quello che riguarda le strutture ospedaliere deputate al Covid. Per questa ragione, quando si parla di ritorno alla normalità, si omette di dire che quella che ha in mente la politica non è esattamente quella a cui pensano i cittadini comuni.

Sarebbe una nuova normalità, piuttosto forse di una sorta di convivenza con il Covid, ma senza che nulla sia stato fatto per liberare strutture sanitarie e risorse economiche e soprattutto risorse umane per fronteggiare tutte le altre esigenze sanitarie che, come è noto, sono state ampiamente trascurate durante la pandemia.

Si profila all’orizzonte un “ritorno al futuro” ben diverso da quello che ci si poteva attendere, con Ospedali ancora bloccati esclusivamente nella lotta al Covid, con una sanità pubblica che continuerebbe non si sa per quanto tempo ancora ad essere depauperata della sua missione di garantire un equo accesso alle cure ai cittadini, non più in grado di gestire tutte le patologie per le quali è stata creata.

In Sicilia da quasi due anni si parla di strutture dedicate alle malattie infettive, di riconversione di Ospedali già esistenti in Presidi anti Covid. Ma il problema è proprio questo, se ne parla e se ne continua a parlare, ma nei fatti poco o nulla si è visto di concreto.

A Palermo un’intera grande struttura sanitaria quale è l’Ospedale Vincenzo Cervello è, fin da inizio pandemia, paralizzato nelle sue funzioni assistenziali e dedicato quasi esclusivamente alla lotta al Covid. Ma il Cervello è solo la punta dell’iceberg perché in giro per l’intera Regione ci sono Ospedali o Reparti ospedalieri la cui attività è orientata soltanto al contenimento dell’epidemia da SarsCov2.

In cosa consisterebbe quindi questo ritorno alla normalità una volta terminata la fase emergenziale? Il timore è proprio quello di andare incontro, stabilmente o a lungo, ad una ulteriore contrazione dell’offerta sanitaria, con i cittadini alla disperata e vana ricerca di risposte di salute, una situazione in cui, i più fortunati riusciranno a ricorrere alle cure presso la sanità privata e i meno fortunati resteranno a becco asciutto.
Ma in questo caso non si parla di uno Spritz al Bar, ma di salute personale e, spesso, di sopravvivenza. Se questa sarà la nuova normalità, se il prezzo da pagare dovesse essere tanto elevato, allora dobbiamo, a malincuore, tifare per una proroga dello stato di emergenza.

Giuseppe Bonsignore
Cimo Sicilia

A Cimo un premio internazionale per l’impegno sociale contro il Covid

Nella splendida sala del Vestibolo Superiore della Reggia di Caserta Lisa Clark, Nobel per la Pace 2017 ha conferito al Dott. Guido Quici, in qualità di Presidente di CIMO Medici, il premio internazionale “European Award Investigative and Judicial Journalism Evolution 2021” per la sezione “impegno sociale contro il Covid 19”.

“Sono davvero onorato”, ha dichiarato il Presidente Quici “che a CIMO medici venga assegnato un premio di così alto prestigio e valore sociale. Un riconoscimento per tutti i medici e sanitari che, in questi 20 mesi di Covid, non hanno mai smesso di assistere gli italiani mostrando altissima professionalità e gran senso di responsabilità”.

Nel ricordare che Lisa Clark ha proposto il corpo sanitario italiano al Premio Nobel per la Pace, il Presidente Quici ha voluto, a sua volta, omaggiare la Madrina della manifestazione della recente pubblicazione CIMO dal titolo “Giuro di non dimenticare” che raccoglie le toccanti testimonianze di 28 medici di tutta Italia che si sono raccontati durante la prima fase della pandemia.

Conclude Quici “occorre mantenere viva la memoria per rende omaggio a tutti quei colleghi che hanno perso la propria vita per salvare quella degli altri”.

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