L'opinione del presidente di Confindustria Sicilia sulle imprese dell'isola: "Serve affrontare il tema della semplificazione burocratica"
Nel 2019 solo il 5% di negozi, uffici, laboratori e magazzini è finito all’asta. Dopo due anni il dato è raddoppiato. Ai microfoni del Quotidiano di Sicilia è intervenuto Alessandro Albanese, presidente di Confindustria Sicilia.
Nel 2021 in Italia l’11,73% dei beni finiti all’asta sono capannoni industriali, commerciali e artigianali, opifici, laboratori e magazzini. Un dato ben più alto rispetto agli scorsi anni. Quanto è grave questo dato emerso dal Report del Centro Studi Astasy?
“Che gli immobili siano finiti all’asta nel 2021 non significa che riguardino provvedimenti relativi al 2020 e al 2019. Sappiamo bene i tempi della giustizia civile che per prima cosa deve essere riformata. Pertanto, può darsi che siano provvedimenti che si trascinano da decenni e vediamo gli effetti soltanto adesso. Non penso che ci sia un calo nel settore industriale, quantomeno nel 2021. Come produzione industriale abbiamo avuto una fortissima ripresa. Anzi tra le problematiche all’ordine del giorno metterei la seguente questione: ci sono decine e decine di imprenditori che cercano aree industriali e capannoni e non si trovano. In questo senso bisognerebbe attuare la legge varata dall’Ars in tema di consorzi Asi e Irsap”.
Dunque il Covid non è tra le motivazioni di questa emorragia?
“Dal punto di vista della produzione industriale, assolutamente no. I dati che abbiamo post-Covid sono confortanti. Ovviamente per il settore del turismo il discorso è differente. Tante strutture hanno dovuto chiudere, altre sono al collasso. Il Covid le ha decimate, anche i B&B nelle grandi città e i ristori non sono stati pari alle perdite. Sottolineo anche il calo che c’è stato nella raffinazione degli idrocarburi, con perdite importanti. Se parliamo di produzione industriale, le imprese non si sono mai fermate, tranne per un brevissimo periodo di un mese e mezzo”.
Il tessuto produttivo in Sicilia è in seria difficoltà. Quali supporti offrire alle aziende per evitare che all’asta finisca buona parte della nostra “economia”?
“Ribadisco che questi ultimi due anni non hanno inciso, né più né meno. Dobbiamo dire che il settore della produzione industriale è già difficoltà da anni, ma per altre ragioni. Quelle arrivate adesso si sono aggiunte: come il costo dell’energia che in Sicilia lo paghiamo di più rispetto al resto d’Italia. Hanno tolto anche l’interrompibilità, una misura riconosciuta alla Sicilia e alla Sardegna. C’è il costo delle materie prime e dei trasporti, situazioni che hanno sempre penalizzato le imprese e in questo periodo ancora di più. La costruzione del Ponte sullo Stretto per noi rimane un punto cardine al fine di evitare questa insularità che ci penalizza. Aggiungo anche un’altra importante questione”.
Prego.
“C’è un costo che non è più nascosto anche grazie alle denunce di Confindustria, che è quello della burocrazia. Tra i supporti da offrire alle aziende c’è per prima cosa il costo dell’energia. E questo potrebbe farlo benissimo lo Stato e nel suo bilancio anche la Regione. Nel costo dei trasporti possono essere inseriti dei correttivi nella prossima finanziaria. La Regione ha messo qualcosina, ma basta appena per pochi giorni. Poi affrontare il tema della semplificazione burocratica e della digitalizzazione della pubblica amministrazione. L’impresa che deve ampliare uno stabilimento, costruirne uno nuovo o semplicemente spostare un camino, se sa che passano mesi o addirittura anni per ottenere i permessi, va via oppure non viene proprio. Non basta fare una legge sulla semplificazione, serve una riqualificazione totale dei dipendenti della pubblica amministrazione”.