Dalla violenza in famiglia a quella istituzionale, la storia della siciliana Denise e del suo bambino - QdS

Dalla violenza in famiglia a quella istituzionale, la storia della siciliana Denise e del suo bambino

Dalla violenza in famiglia a quella istituzionale, la storia della siciliana Denise e del suo bambino

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martedì 29 Marzo 2022

Un ragazzino vittima di violenza in famiglia non vuole andare dal padre. Così le istituzioni lo perseguitano: la sua vita tra polizia, minacce di case famiglia e "terapie" escluse persino dall'Onu.

La violenza in famiglia provoca enormi ferite. Ma la violenza istituzionale di più: in alcuni casi impedisce di ricostruire una vita lontana dalla sofferenza e ti rende vittima di ulteriori coercizioni che non ti appartengono. L’incredibile storia della siciliana mamma Denise e del suo bambino, ormai cresciuto, che desidera soltanto vivere in pace con la madre. Ma non può.

La storia

“Pur avendo fermato il prelevamento di mio figlio ad agosto, un ragazzo di 16 anni che volevano mettere in casa famiglia, oggi è comunque affidato ai servizi sociali e costretto a seguire un percorso con la neuropsichiatria infantile che deve capire il perché del rifiuto che il ragazzo ha del padre.

Da Bergamo ho fatto questo drastico cambiamento tornando in Sicilia, ma ovunque andiamo siamo perseguitati. Voglio denunciare pubblicamente che non c’è limite alla violenza istituzionale nemmeno di fronte all’età di mio figlio’. E’ mamma Denise (nome di fantasia) a lanciare un accorato appello all’agenzia Dire, che si è occupata anche in passato del caso, a pochi giorni dall’ordinanza della Cassazione sul caso Massaro che ha bandito la PAS dai Tribunali, affinché suo figlio sia lasciato in pace.

Mamma Denise ostativa per CTU

Anche Denise è stata considerata da una CTU “ostativa” e per questa ragione fu stabilito il collocamento del ragazzo dal padre, nonostante il minore avesse chiesto alla CTU di rimanere con la madre, poi un progressivo peggioramento delle sue condizioni e del rendimento scolastico ha reso possibile il trasferimento dalla mamma.

Oggi Denise che ha il figlio con sé chiede una vita normale per entrambi: “L’ente affidatario vuole capire, ascoltando il ragazzo, il perché non voglia frequentare il padre. A Natale gli hanno fatto scrivere il suo volere di non volerlo incontrare e la neuropsichiatria deve indagare su questo. Il tutto sarà poi riferito alla Procura minorile di Messina e io devo seguire un percorso di supporto alla bigenitorialità. Siamo come due ostaggi”, dice con ansia. Il caso della mamma coraggio Denise assomiglia a molti altri. L’avvio di una separazione giudiziale, un procedimento per violenze che viene archiviato. Il racconto di una ludopatia che domina la storia della donna e di cui sulla relazione della Ctu non c’è quasi traccia.

L’ultimo decreto del tribunale di Bergamo

L’ultimo decreto del Tribunale di Bergamo stabilisce che il minore ‘va collocato presso la madre, la quale ha comunque manifestato un investimento affettivo e sincero nei confronti del figlio e ha dimostrato di essere in grado di accudirlo nelle incombenze quotidiane. In questo momento, l’eventuale alternativa di un contesto comunitario- scrivono i giudici- rischierebbe di essere percepita dal minore, unica vittima dell’intera situazione, come un intervento punitivo del quale non comprenderebbe il senso. Inoltre, non può non tenersi conto del netto rifiuto del ragazzo..’.

Le forze dell’ordine per portare il ragazzo dal padre: “Non voglio andare, lì non vengo accudito”

I giudici riconoscono che i carabinieri del posto e i servizi sociali hanno documentato ‘l’impossibilità di esecuzione dell’ordinanza del 14.8.2021, con il quale è stato disposto il rientro immediato del minore, in ragione del netto rifiuto del minore.

In particolare, i Servizi sociali intervenuti insieme alle forze dell’ordine in data 23.8.2021 al fine di consentire il rientro dell’adolescente presso il domicilio paterno insieme al padre anch’esso presente sul luogo, hanno dato atto del dissenso assoluto del ragazzo, che ha ribadito con forza il suo disagio a stare con il padre che ha una nuova compagna e dove a suo dire non riceve attenzioni e non si sente accudito‘. (cfr. relazione del 23.8.2021)’.

La prescrizione delle visite “obbligatorie”

E si arriva però a un’ennesima prescrizione: ‘L’Ente Affidatario dovrà poi, sin da subito, regolamentare le frequentazioni padre-figlio, nelle forme ritenute più opportune e di modo da garantire, nel minor tempo possibile, incontri con cadenza mensile di almeno quattro giorni (nel periodo scolastico); cinque settimane durante l’estate, di cui almeno tre consecutive; sette giorni durante le vacanze natalizie e il periodo pasquale ad anni alterni presso ciascun genitore, con spese di viaggio del minore a carico del genitori nella misura del 50% ciascuno.

Ove la madre dovesse ostacolare questi incontri, il Servizio dovrà immediatamente informare la Procura della Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni ex art. 330 e 333 c.c..

In particolare, l’Ente affidatario, laddove dovesse riscontrare la mancata evoluzione dell’attuale situazione di pregiudizio del minore, o meglio, il mancato ripristino del rapporto padre-figlio, anche grazie al supporto terapeutico, dovrà prendere in considerazione un diverso collocamento del minore, depositando apposita relazione al Tribunale per i Minorenni’.

Il rischio di un “diverso collocamento” del minore

Dunque resta l’ombra di un diverso collocamento coatto in nome della ‘bigenitorialità’, come pare, su un ragazzo di 16 anni che ha espresso la sua volontà e che vive con una madre che lo stesso Tribunale ha ritenuto accudente, nonostante quel ritratto di ‘madre ostativa’ fornito dalla CTU.

Un frasario e un’impostazione di pensiero che è figlia di quell’alienazione parentale, che ormai dovrebbe essere bandita dai tribunali a quanto sembra per sempre, grazie all’ultima ordinanza della Cassazione sul caso Massaro.

“Prassi di tortura”: la denuncia di Maison Antigone

Michela Nacca, avvocata e presidente dell’associazione Maison Antigone, raggiunta dalla Dire ha commentato il caso. ‘La vicenda processuale del figlio di Denise, che a ben sedici anni – un’eta’ in cui i minori possono denunciare senza bisogno di un genitore rispondendo essi stessi di eventuali reati – viene costretto da un tribunale di merito italiano ad intraprendere percorsi psicologici in neuropsichiatria, dietro la minaccia esplicita – in base a quanto leggo – di poter essere ancora una volta portato via dalla sua casa, dal proprio contesto amicale, familiare e scolastico e collocato forzosamente presso un padre da cui egli non si sentirebbe compreso o amato adeguatamente.

Un tribunale di merito che, pur costretto a prendere atto della ferma volontà di un sedicenne di tornare a vivere insieme alla madre tanto da ricollocarlo presso di lei, tuttavia non si da e non gli da pace, continuando a perseguire una ‘prassi di tortura’ affinché il giovane accetti di relazionarsi o vivere con il padre’.

“Sentimenti imposti con provvedimenti coercitivi”

“Sentimenti come l’amore, la fiducia, il perdono, frutto di scelte strettamente personali che dipendono dalle esperienze relazionali vissute e maturate con le persone destinatarie di questi sentimenti, negativi o positivi- spiega Nacca- possono essere imposti con provvedimenti giudiziali coercitivi, contro la volontà della persona, nel caso un minore di 16 anni?

Il buon senso, la Costituzione, la stessa Comunità Accademica internazionale dicono di no e farlo significa agire violenza: parole non mie ma espresse anche da vari organismi ONU che fin dal 2010 e sempre più spesso negli ultimi anni hanno più volte ribadito la illegittimità e la violenza, la ‘tortura’ appunto, praticata nei tribunali di moltissimi Paesi nel mondo, tra cui quelli italiani, con il fine di imporre delle relazioni paterne verso le quali i minori destinatari di questi provvedimenti giudiziali provano grave timore o profondo disagio. Mi riferisco ad innumerevoli interventi di condanna espressi da organismi ONU, come la CEDAW, tra cui l’ultimo in ordine temporale è del 17 marzo scorso, in occasione del quale la Commissione ONU sullo Status delle Donne (CSW) ed esperte internazionali hanno ribadito la condanna all’utilizzo della teoria sull’Alienazione Parentale e di altre teorie analoghe, considerate pericolose in quanto distorcenti i fatti, la Giustizia e vittimizzanti donne e minori spesso già vittime di violenza.

Le “pseudoteorie” psicologiche vittimizzanti di donne e bambini: l’Alienazione parentale nell’assenza di disturbi

‘Il 31 luglio 2021 come presidente di Maison Antigone tramite social avevo, infatti, chiesto a colleghi avvocati, associazioni ed alle stesse mamme nonché agli ex minori rivittimizzati di segnalare i loro casi processuali indicando l’esatto riferimento mail della Commissione ONU sullo Status delle Donne (CSW) e le modalità per effettuare le loro segnalazioni, corredate dei fascicoli e delle prove.

Tantissime le mamme e i legali che ci hanno risposto, avvertendoci di aver inviato le loro segnalazioni. Segnalazioni che evidentemente sono arrivate’. Conclude la presidente di Maison Antigone: ‘Quelle denunciate e subite anche dal figlio di Denise sono prassi processuali violente indotte dalla pseudoteoria dell’alienazione Parentale, da teorie analoghe o similari nonché da un concetto distorto, patriarcale, di cogenitorialità.

Perché quando il minore rifiuta la madre, viceversa ben difficilmente vengono applicate le stesse prassi coercitive volte ad obbligare il contatto, imponendo trattamenti di reset psicologico e persino allontanamenti coatti e istituzionalizzazioni in strutture educative e case famiglia, con inversione più o meno immediata di collocamento: in questi casi vige quasi sempre la regola della non coercibilità della volontà del minore. Il percorso di psicoterapia che si vorrebbe imporre a questo ragazzo, il figlio di Denise, apparirebbe dunque irragionevole ed illegittimo perché non sembrerebbe giustificato ad esempio da un qualche abuso di alcool, di sostanze o da un disturbo di personalità o da un problema comportamentale pregiudizievole tenuto dal ragazzo, da dover curare e recuperare’, continua Nacca.

“Non vuoi andare da tuo padre? Allora sei ‘malato’ e c’è il reset”

‘La terapia – il reset – sembrerebbe come spesso accade motivato esclusivamente dal suo rifiuto verso un padre- spiega Nacca- che egli sentirebbe come estraneo, non amorevole nè accogliente. Anzichè andare a lavorare sull’adulto che chiede il ripristino della relazione, si considera il minore un ‘malato’ a prescindere dalla realtà dei fatti: cosi come suggerisce la pseudoteoria Alienazione Parentale si va ad imporre sul minore un rapporto in cui egli non si riconosce.

Quella che viene applicata e’ ancora una volta la ‘cura’ indicata da Richard Gardner‘, rigettata e sconfessata in tutte le sedi. L’ordinanza di Cassazione ha dato risposta a Laura Massaro, proibendo l’allontanamento del minore dal genitore caregiver in quanto di per sé pregiudizievole per la salute del minore stesso: dunque anche quando il rifiuto possa apparire ingiustificato.

Ciò che preoccupa è vedere come i tribunali di merito, nonostante le chiare direttive UE, dell’ONU e della Cassazione italiana contro queste prassi innescate dalla teoria Alienazione Parentale e da un concetto distorto di cogenitorialità, continuino, come nel caso del figlio di Denise, ad applicarla in tutti i suoi ‘corollari’: partendo dalle ‘minacce’ di allontanamento dall’abitazione e dal proprio contesto familiare, cosi come prescritte da Gardner, fino ad attuare l’effettivo allontanamento affinche’ possa essere applicato il ‘reset psicologico”.

Mamma Denise non si arrende: “Due profughi in guerra, ci perseguitano ovunque”

Denise non vuole arrendersi e alla Dire ha descritto così la condizione di vita sua e di suo figlio: ‘Ovunque andiamo ci perseguitano. Siamo come due profughi di guerra, io il mio Putin l’ho lasciato a Bergamo”.

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