Leggi incomprensibili, viziaccio italiano - QdS

Leggi incomprensibili, viziaccio italiano

Leggi incomprensibili, viziaccio italiano

Raffaella Pessina, Amedeo Barbagallo e Paola Giordano  |
sabato 04 Marzo 2023

Testi normativi scritti in burocratese, troppi decreti, troppe norme omnibus: legislatore nemico dei cittadini e politica sorda ai richiami di Quirinale e Consulta

L’ultimo richiamo risale a qualche giorno fa. Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha promulgato il decreto Milleproroghe ma con riserva: proroghe che presentano profili di incompatibilità con il diritto europeo, norme in contrasto con la nostra carta costituzionale e tanto altro ancora. Insomma, il Parlamento è stato “beccato” ancora una volta mentre va palesemente fuori binario.
Tutti convengono sulla necessità che vi siano leggi chiare e comprensibili, ma spesso i governi hanno imboccato volutamente la direzione opposta, partorendo troppo decreti (motivando la scelta per mancanza di tempo o situazioni emergenziali), troppe norme omnibus o comunque troppo poco trasparenti.

La necessità di dare risposte in tempi rapidi ha portato i governi ad adottare provvedimenti di portata eccezionale ma che, pur sempre, devono affrontare molti passaggi prima di arrivare al Colle. Per questo sarebbe necessaria la massima attenzione e trasparenza su quello che avviene tra la deliberazione del decreto in consiglio dei ministri e la sua conversione in legge. Più volte il presidente della Repubblica ha richiamato i legislatori ad una maggiore trasparenza sulle norme approvate. Il problema è che spesso questi richiami, come già avvenuto in passato, sono caduti nel vuoto.

Uno dei moniti più incisivi del presidente Mattarella c’è stato in occasione, nel 2020, del via libera da parte del Quirinale alla legge di conversione del Decreto semplificazioni, che stabilisce che ogni decreto legge emanato dal governo deve essere convertito dal Parlamento entro 60 giorni dalla pubblicazione in Gazzetta ufficiale, pena, la sua nullità. Nel promulgare la legge, Mattarella, ha voluto inviare un messaggio molto chiaro a governo e Parlamento in merito alla pratica di inserire, nelle pieghe dei decreti, anche norme che non hanno niente a che vedere con il fine originario del provvedimento.

L’apporto del Presidente della Repubblica alla qualità della produzione legislativa rappresenta quindi una garanzia fondamentale nel nostro ordinamento. Non solo per controllare che vengano rispettate le caratteristiche di urgenza e necessità dei decreti legge, ma anche per evitare che la loro conversione sia accompagnata da un iter legislativo poco trasparente.

Sulle cosiddette leggi scritte male è intervenuta in alcuni casi la Corte Costituzionale: ad esempio nella sentenza n. 185 del 1992 la Corte ha dichiarato illegittimo il sesto comma dell’articolo 25, del Dpr 24 maggio 1988, n. 203 sulla attuazione delle direttive Cee, in materia di qualità dell’aria. è stato rilevato un errore, da far risalire all’originaria redazione del testo normativo, errore materiale che ha determinato una situazione di incertezza, a causa della quale il cittadino non è posto in grado di sapere quale sia il precetto penale nè, quindi, quale sia la condotta alla quale egli deve attenersi per non incorrere nella sanzione.

In un’altra sentenza (n. 364 del 1988) viene citata la assoluta oscurità del testo legislativo, la Corte dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 5 del codice penale poiché non viene adeguata mente trattata la materia dell’ignoranza della legge penale.

La parola ad Agatino Cariola, ordinario di Diritto costituzionale all’Università di Catania

Agatino Cariola

La riflessione sulla qualità delle leggi prodotte dal nostro Parlamento si arricchisce del prezioso contributo di Agatino Cariola, ordinario di Diritto Costituzionale presso l’Università di Catania.
“I moniti sul corretto modo di legiferare rimangono lettera morta, mere aspirazioni. Stiamo assistendo da tempo – ammonisce il costituzionalista – ad una profonda trasformazione del sistema politico e dello stesso principio di separazione dei poteri. Si insegna ancora che il Parlamento fa le leggi, il governo le esegue, la magistratura le applica. Soprattutto si insiste sul fatto che i tre poteri dovrebbero essere indipendenti l’uno dall’altro e che ciò dovrebbe valere soprattutto per la magistratura. Se dovessi considerare il presente, direi che la teoria di Montesquieu è un sogno che non si è realizzato”.

Anche il Parlamento, base fondamentale della nostra democrazia, non gode di ottima salute secondo Cariola. “Si limita a ratificare ciò che il governo adotta, tranne qualche iniziativa di chi riesce con un emendamento a prendere il treno superveloce del decreto-legge e ad inserirvi una norma di interesse locale. I padroni delle leggi in Italia sono quindi gli uffici legislativi dei ministeri, composti soprattutto da magistrati amministrativi e contabili, in spregio al principio di separazione dei poteri”.
“I magistrati – è l’amara analisi del docente – che dovrebbero applicare le leggi sono in realtà quelli che le confezionano sulla base dei desiderata del ceto politico”.

“Oltre che nei confronti delle istituzioni politiche, io sono critico proprio nei confronti dei cittadini elettori, i quali si aspettano e pretendono questo modo di legiferare e governare. Gli elettori danno il loro consenso a chi appare in grado di fare loro favori: è inutile ipotizzare una classe politica inidonea a fronte di una società civile, appunto l’insieme dei cittadini, onesta e leale. Non a caso ho detto sopra che le leggi, proprio queste leggi di cui ci si lamenta, sono fatte da quella élite culturale che sono i magistrati amministrativi, in un certo senso il meglio che esprime la classe professionale italiana”.

Il mio discorso è amaro – riconosce Cariola -. Abbiamo da tempo seppellito Montesquieu, abbiamo perso la speranza di separare e quindi di controllare il potere, abbiamo abdicato alla funzione di cittadini sovrani per assumere la veste di cortigiani, nel momento in cui andiamo a votare per favorire il candidato che ci può offrire qualche servizio o nel momento in cui lusinghiamo chi sta al potere sempre per averne qualche vantaggio. E lo dico da osservatore oramai disincantato: non abbiamo speranze di cambiare”.

L’emergenza continua ha fatto perdere l’idea della normalità e del criterio di competenza per il quale ogni soggetto esercita al meglio e nell’interesse collettivo il potere che gli è stato dato. Il resto lo fa la propaganda attorno al capo, il culto della personalità attorno l’eroe che ci fa il miracolo e ci salva, così noi possiamo continuare a fare o semplicemente non fare, come ci convinciamo fosse prima dell’ultima emergenza”.

Il presidente Mattarella ha avvertito più volte che i decreti legge omnibus, quelli che contengono tutto e di più, non sono legittimi, quasi a dire che la prossima volta non li avrebbe emanati. Epperò, in tanti anni non ha mai inviato indietro un decreto legge o una legge di conversione ‘appesantita’ di tante norme che non c’entravano niente con il contenuto originario del decreto. La responsabilità di far cadere un decreto è veramente enorme e nemmeno il presidente della Repubblica se la sente di farlo”.

“Si sviluppa un modo di procedere, una sorta di costituzione materiale – osserva Cariola in conclusione -, diversa da quella formale. Le regole formali servono per i libri di scuola, poi ogni volta c’è una necessità per estenderle, aggirarle, metterle da parte, insomma violarle. Sono amaro, ma faccio un esempio: chi in Italia paga le tasse è un fesso, perché poi arriva un qualche condono che premia gli evasori. È esperienza comune. Lo stesso per i procedimenti legislativi. Se un deputato presenta una legge – analizza il docente -, allora valgono tutte le regole procedimentali; ma se il Governo all’ultimo momento adotta una decisione o propone una legge (come per i maxiemendamenti) da approvare entro poche ore, non ci sono più regole che valgono”.

Ida Nicotra, costituzionalista

Ida Nicotra

Il leit motiv che ha ispirato la lettera del Presidente della Repubblica è la crescente attenzione verso l’uso corretto della funzione legislativa. Già nella precedente legislatura il Capo dello Stato aveva indirizzato a Governo e Parlamento due missive con cui richiamava gli organismi politici al rispetto del requisito dell’omogeneità di contenuto dei decreti-legge.

Qualche giorno fa il Presidente Mattarella ha promulgato la legge di conversione del decreto-legge in materia di termini legislativi e ha nuovamente inviato ai Presidenti delle due Camere e al Presidente del Consiglio una lettera con la quale evidenzia la distorsione della pratica parlamentare in materia di decretazione d’urgenza.

Il Capo dello Stato richiama la sentenza della Corte costituzionale n.22 del 2012 in cui si osserva che i c.d. decreti milleproroghe devono rispondere alla ratio unitaria di intervenire con urgenza sulla scadenza di termini, il cui decorso inciderebbe negativamente su situazioni e interessi di rilievo.
Qualora i provvedimenti attengano ad ambiti materiali molto diversi tra loro e manca l’esigenza regolatoria di carattere temporale, i decreti-legge finiscono per divenire “meri contenitori dei più disparati interventi normativi”. Con il rischio di violazione dei limiti costituzionali all’emendabilità del decreto-legge in sede di conversione. La presenza di norme che non recano proroghe di termini ma provvedono a modifiche sostanziali in un determinato settore si traducono in un abuso della decretazione d’urgenza che da tempo è divenuto lo strumento di gran lunga prevalente di esercizio di normazione. La necessità temporale, dunque, costituisce il presupposto per provvedere tramite il decreto legge.

Laddove non ricorra tale requisito – fa notare ancora il Presidente – va seguito il normale iter di produzione legislativa.
Bisogna lavorare sul versante di una adeguata programmazione legislativa e recuperare tempi ragionevoli per l’approvazione delle leggi.

Il carattere confuso e precario della normazione contribuisce a rendere fragili e vulnerabili le istituzioni e indebolisce la capacità del privato di fare impresa, recando un danno d’immagine anche alla amministrazione pubblica percepita, a volte, come una “selva oscura”, all’interno della quale diventa complicato orientarsi. In particolare, le norme inserite, in sede di conversione, sulle proroghe delle concessioni demaniali al 31dicembre 2024 modificano ulteriormente il quadro normativo già frammentario e disorganico. Tali disposizioni, contrastando con le sentenze del Consiglio di Stato e con il diritto della Ue sulle regole della concorrenza e dei diritti di tutti gli imprenditori coinvolti, si ripercuotono sfavorevolmente anche sugli impegni assunti dall’Italia nel contesto del PNRR.
La lettera non dimentica di avvertire sull’ulteriore rischio che gli enti concedenti potrebbero indire le gare in forza delle decisioni del Consiglio di Stato, mentre i controinteressati potrebbero rivolgersi al giudice amministrativo contro eventuali provvedimenti di proroga delle concessioni, aumentando a dismisura la litigiosità.

Il cittadino, l’imprenditore, il professionista che si rivolge alla pubblica amministrazione per il disbrigo di una pratica deve trovare in essa aiuto e supporto. In altre parole, le istituzioni pubbliche devono generare fiducia e affidabilità, inverando i principi d’imparzialità e buon andamento descritti nell’art. 97. Ciò al fine di ottenere il miglior risultato possibile nell’interesse generale. La trasparenza va declinata anche attraverso un quadro ordinamentale dotato di stabilità e chiarezza, fatto da poche norme, comprensibili e semplici. Da qui l’auspicio rivolto dal Presidente Mattarella all’Esecutivo e alle Camere per ulteriori iniziative di correzione delle norme che si presterebbero a contenziosi e a ulteriore disorientamento nella gestione di un settore tanto delicato quanto strategico.

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