Un comparto da cui lo Stato incassa circa 10 miliardi ogni anno, ma che rischia di danneggiare tante famiglie
PALERMO – Una moda o più semplicemente una via alternativa per trascorrere del tempo, che sia in una sala dedicata o davanti al pc. È questo il modo attraverso cui i giovanissimi interpretano il gioco d’azzardo, sia “analogico” che online: tutto tranne che una dipendenza. Ma i dati parlano chiaro e il fenomeno è in rapidissimo aumento, soprattutto grazie alla facilità di iscrizione e accesso alle piattaforme web dedicata. Secondo le previsioni dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli (AdM), nel 2022 gli italiani hanno speso 140 miliardi di euro per il gioco. Mentre i fondi stanziati dallo Stato per il contrasto alla ludopatia non vengono spesi dalle Aziende sanitarie provinciali.
Per comprendere l’enormità di questo dato, che impatta inevitabilmente nelle tasche di tutti gli italiani, giocatori e non, basti pensare che la spesa annuale per il Reddito di Cittadinanza è di circa 9 miliardi, tanti quanti ce ne vorrebbero – revisioni escluse – per la costruzione del Ponte sullo Stretto di Messina. Un business, più che un problema da risolvere. Anche per lo Stato. E come tale lo stesso è stato affrontato fino a oggi proprio dalle istituzioni.
Per comprendere quanto sia impattante il fenomeno anche sulla Sicilia, è necessario prima spiegare come il gioco d’azzardo si sia diffuso in modo così capillare passando dagli 88 miliardi di euro del 2015 ai 140 stimati – e non ancora pubblicati nel Libro Blu di AdM – per l’anno 2022.
Se fino al 1992 il gioco d’azzardo in Italia era sempre stato considerato una pratica ad alto rischio sociale, furono i governi Amato e Ciampi a mettere mano al compartimento. Il boom delle concessioni arrivò però con i governi Berlusconi dei primi anni duemila. Ed è ancora il centrodestra nel 2009, con il decreto d’emergenza per il terremoto de L’Aquila, incentivò il gioco con vincite maggiori per le videolottery e con il via libera all’apertura dei casinò online.
Dalla Legge di stabilità 2016 venne istituita la dotazione del Fondo nazionale di 50 milioni di euro annui da distribuire tra le regioni, che provvedono a ripartire le somme ricevute tra le diverse Aziende sanitarie locali. Ma i qui molto spesso i fondi restano bloccati per mancanza di progetti, come nel caso dell’Asp di Messina, che ha ricevuto tra il 2016 e il 2020 circa 500.000 euro annui per il contrasto alle dipendenze.
Fondi mai impiegati, come spiega Daniela Milano, responsabile del gruppo messinese della campagna nazionale “Mettiamoci in gioco”, che dal 2012 si pone l’obiettivo di sensibilizzare l’opinione pubblica rispetto ai rischi legati attorno al gioco d’azzardo. “A oggi – aggiunge – ci sono oltre due milioni di euro da utilizzare per potenziare i servizi e quindi riconoscere l’assistenza e il diritto alla salute di chi accede ai Sert e ai Serd. Fondi che adesso rischiamo di perdere come provincia, al pari di molte altre Asp di tutta l’Isola”.
Il tutto mentre proprio i servizi di Sert e Serd locali sono stati messi in ginocchio da un ricambio generazionale mai concretizzatosi in termini di risorse umane e un’inevitabile carenza nel servizio chiamato a fronteggiare numeri in aumento rispetto al recente passato, come scritto nell’inchiesta riguardante il boom del consumo di crack tra i giovani siciliani pubblicata lo scorso 16 gennaio.
L’assenza di una presa di posizione netta da parte dello Stato contro il gioco d’azzardo ha spinto le regioni a muoversi in autonomia sul tema. Da qui la Legge regionale n. 24 del 21 ottobre 2020, su input di Movimento 5 stelle e Partito democratico, con la Sicilia che ha impedito la collocazione di slot machine a meno di 500 metri da ospedali, chiese, scuole, ma anche centri giovanili, impianti sportivi, caserme, cimiteri, camere mortuarie, centri per anziani nei comuni con più di 50.000 abitanti. Trecento, invece, i metri necessari nei comuni con popolazione inferiore.
“Di recente – aggiunge la referente di ‘Mettiamoci in gioco’ – almeno a Messina si è dato vita a un tavolo di coprogettazione tra Asp e terzo settore, in linea con quelli che sono i parametri dell’articolo 7 della Legge regionale. È chiaro che questo immobilismo non ha però aiutato a contrastare la ludopatia, soprattutto nel corso di anni in cui è cresciuta in modo esponenziale, specie tra i giovanissimi e anche a causa della pandemia”.
Un problema di portata non ancora del tutto compresa, come conferma Francesco Pira, professore associato di Sociologia dei Processi culturali e comunicativi dell’Università degli Studi di Messina e saggista: “Nonostante alcuni provvedimenti siano stati presi dallo Stato, c’è un problema serissimo legato al gioco d’azzardo online che coinvolge i giovanissimi, sempre più soli nelle loro camerette e a strettissimo contatto con le nuove tecnologie”.
Una criticità evidenziata da molti genitori negli incontri avvenuti in istituti scolastici dell’Isola, come conferma il sociologo, e che non si risolve limitando l’accesso al mondo di internet: “Sempre più ragazzi – spiega – si recano fisicamente a fare delle puntate nelle sale giochi, cosa vietata per legge fino alla maggiore età, giustificando la loro scommessa come giocata per conto di un genitore o di un amico maggiorenne. Con la discrezionalità di trasmissione che passa agli operatori di sistema”.
Quello della ludopatia è un problema trasversale che sta interessando tutte le fasce d’età e non solo i più giovani. E la solitudine rappresenta spesso un minimo comune denominatore: “A esserne investite – sottolinea ancora Pira – sono soprattutto le persone fragili o che vivono in una particolare condizione di solitudine le loro giornate. Quella della quale stiamo parlando è una dipendenza trascurata, ma che sta mostrando un fortissimo impulso dal basso in termini di crescita proveniente proprio dai ragazzi”.
Secondo i dati emersi dall’Osservatorio Gioco d’azzardo di Nomisma, nel 2020 il 42% dei ragazzi tra i 14 e i 19 anni ha fruito di giochi d’azzardo o di fortuna, sviluppando nel 9% dei casi pratiche di gioco problematiche, con ripercussioni negative sulla sfera socio-emotiva e relazionale. Il dark web rappresenta uno di quei luoghi in cui questa tipologia di giochi si moltiplica, con dei risvolti che possono diventare pericolosi non soltanto sotto il profilo economico e psicologico ma anche fisico: si pensi all’Hikikomori o al Blue Whale, balzati negli scorsi anni agli onori della cronaca nazionale.
Con una tracciabilità dei casi di gioco online non sempre resa possibile – per via di ecosistemi con indirizzi IP nascosti o di dati che non vengono forniti sulla giocata in sé da parte delle compagnie di gambling, spesso con sede in paradisi fiscali come nel caso della vicina Malta – il reperimento dei dati a completezza d’indagine e il loro aggiornamento per lo studio più capillare del fenomeno rappresenta il principale problema nell’elaborazione annuale delle statistiche da parte degli istituti preposti al controllo. Secondo l’identikit fornito dalle associazioni di categoria e dai Sert siciliani, “la maggior parte dei giocatori d’azzardo sono persone che hanno portato sul lastrico interi nuclei familiari; commercianti che hanno anche perso le loro attività; padri di famiglia che hanno perso il lavoro a causa delle ripetute assenze dovute alla patologia. O ancora professionisti insospettabili che per riparare i debiti hanno commesso reati di ogni tipo”.
Per arginare il fenomeno la repressione non sempre torna utile. “Nel corso di studi interdisciplinari – spiega Pira – abbiamo capito che il tema della repressione rispetto a quelle che sono devianze non sempre produce i risultati sperati. Le risposte da parte del legislatore arrivano soltanto in presenza di casi di cronaca eclatanti. Di certo la continua pubblicità di giochi online su tutte le piattaforme di comunicazione non ne aiuta il contrasto. Ma i costi sono elevati anche per lo Stato stesso nel momento in cui si trova a dover curare queste devianze, sempre che le persone le riconoscano come tali”.
In base allo studio effettuato dal gruppo Gedi sui dati forniti da AdM, in Sicilia nel 2017 la spesa pro-capite per il gioco d’azzardo variava dai 1.551 euro di Ragusa ai 586 euro di Enna, la provincia isolana più virtuosa. E per contrastare il fenomeno sono presenti in Sicilia realtà come la Adoc (Associazione per la difesa e l’orientamento dei consumatori), che con i suoi otto sportelli sparsi tra le varie province fornisce sostegno ai giocatori o alle loro famiglie coinvolte in un impoverimento economico che sempre più spesso spinge a recarsi presso Caritas e servizi pastorali per poter mangiare e pagare i debiti contratti.
“Possiamo segnalare – spiega Raffaele Tango, presidente Adoc Sicilia – un aumento di circa il 20% rispetto all’anno 2020 di persone che hanno richiesto il nostro aiuto telefonicamente o presso gli sportelli dell’associazione. Si tratta di un incremento importante che dovrebbe indurre le istituzioni ad attenzionare il fenomeno, soprattutto perché il Covid ha avvicinato al gioco milioni di giovanissimi e con una diffusione che non siamo in grado di registrare”.
Buona parte del tempo libero dei ragazzi è lasciato alla loro totale responsabilità tra videogiochi, chat con gli amici e pubblicità costante di giochi online soprattutto sugli smartphone. Il tutto mentre l’Erario, nel solo 2021, ha incassato 8,4 miliardi di euro con un incremento a oltre 10 nel 2022.
È dello scorso 25 gennaio una delle ultime operazioni in Sicilia contro il gioco d’azzardo illegale, che ha portato al sequestro di 31 apparecchi, alla denuncia di 18 persone e al ritrovamento 13 punti scommesse clandestini. I 3 milioni di euro di sanzioni elevate sono però solo una piccola goccia in un mondo sommerso e complesso da smantellare. Anche per mancanza di volontà.