L’anno appena passato, ad onta di quanto l’editoria ha prodotto per “ricordare” le nefandezze del 1922 di un governo dato da un Re ad un partito che all’epoca aveva in Parlamento soli 35 deputati eletti nella lista Nazionale di Giolitti, non ha visto, come da tanti temuto, una novella marcia su Roma.
Si trattò all’epoca, di un suggerimento di tutti i partiti, tranne i comunisti, dato al monarca che non sapeva che pesci prendere dinanzi all’esacerbarsi della lotta tra i sostenitori della “vittoria mancata” per il pessimo lavoro fatto da Orlando a Versailles e i “socialisti” che volevano impadronirsi del governo e del paese.
Vi erano stati tre anni di scontri e tante vittime ed una minacciata marcia su Roma che, a detta di Mussolini e dei suoi quadrumviri – Balbo, De Bono, De Vecchi di Val Cismon e Bianchi -, avrebbe portato il re a dare loro la gestione dell’Italia stanca di facinorosi che da ambo le parti avevano messo in forse la tenuta dello stato-nazione retto da una monarchia costituzionale, tra le vincitrici della prima guerra mondiale. La marcia non avvenne. E a Mussolini incaricato il 31 Ottobre di formare un governo di larghe intese, gli rimasero i “fascisti” che avevano atteso a Napoli, sfilare sotto il balcone del Quirinale con il Re che per 4 ore li salutò militarmente mentre lui, dopo due ore, se l’era squagliata per fare cosa più seria: formare un governo in cui c’erano tutti e che ebbe la fiducia giorni dopo.
Era nato il fascismo di Governo. Soppiantando quello di lotta che non conveniva ad alcuno. Dura, nel bene e nel male fino al 25 Luglio 1943 quando Mussolini, in borghese come si addiceva, va al settimanale incontro con il monarca che negli anni trascorsi era divenuto re di Albania, Imperatore di Etiopia, con una Italia che possiede tutta le Libia, le Isole maggiori dell’Egeo, Eritrea e Somalia, ma in quel momento perduto tutto, con la Sicilia invasa il 10 Luglio (perduta il 19 Agosto). Il re in venti minuti lo scarica, dicendogli “Voi avete un solo amico: io” e all’uscita di Villa Savoia fatto salire su un’ambulanza “per proteggerlo”, di fatto arrestato, suscitando l’ira della Regina che non esita a dire che era stato scostumato farlo arrestare in casa propria. Era morto il fascismo: in silenzio.
In sintesi estrema: vita e morte di un movimento che attecchì in molti paesi d’Europa e oltre Atlantico e che si disfece già prima dell’uccisione di Mussolini il 31 Aprile del 1945 a Dongo. E non può rinascere perché senza l’uomo di Predappio appeso a testa in giù a Piazza Loreto a Milano non può esistere. Così come non esisterà un comunismo senza Stalin, un nazismo senza Hitler, un franchismo senza Franco.
Né mai più si avrà un Cesare o un Napoleone.
Si quietino dunque gli antifascisti. Cui basterebbe leggere le tre “bibbie” scritte da Milza, Smith e De Felice per sapere tutto. E non il tutto che nell’anno di grazia scorso ha inondato librerie, convegni, dibattiti.
Evitando che una scazzottata di ragazzi, più o meno tali, in una strada di fronte ad un Liceo a Firenze faccia scrivere che “fu così che nacque sui marciapiedi lo squadrismo”.
Ma “l’ignoranza dà felicità”. Ed aspirandovi tutti, voilà: alle armi ci sono i fascisti.