La Comunità Ebraica di Catania ha iniziato un ciclo di incontri aperti alla cittadinanza
La Comunità Ebraica di Catania ha iniziato, con la presentazione del libro “I Weiss e Don Milani” di Stefania De Pasquale e Giulia Margherita Lizzio, un ciclo di incontri aperti alla cittadinanza su argomenti in cui l’ebraismo diviene spunto di confronto e dibattito.
I relatori, accogliendo le indicazioni ed i suggerimenti del Rabbino Capo della Comunità Gilberto Venturas che ha ospitato la manifestazione, si sono adoperati ad indagare la vicenda laica, umana e spirituale del priore di Barbiana, sperduto paesino di Montagna del Mugello, dove la curia di Firenze, nel 1954, mandò, ad una sorte di confino, questo giovane che appena indossato l’abito talare si era schierato dalla parte degli ultimi e cioè dei contadini e degli operai, evidenziando come la comunità civile e la curia non facessero nulla per strappare alla più desolante ignoranza i ragazzi delle classi più umili e disagiate e quindi per mitigare il divario tra le classi sociali. Don Lorenzo da questo esilio di montagna diede corso, in epoca pre conciliare, con una incompresa visione della vita, del sacerdozio e della pedagogia, alla sua “scuola popolare”, dove i figli degli ultimi venivano istruiti per sfuggire ad un malvagio destino che li avrebbe posti nella medesima posizione sociale di indigenza dei loro genitori, senza speranza, condannati all’ignoranza e alla miseria.
Il giovane sacerdote appartenente ad una famiglia dell’alta borghesia fiorentina ebraica, anche se non osservante, si era sottoposto, ormai ragazzo, al battesimo per cercare di sfuggire alle persecuzioni antiebraiche, in anni in cui in Italia l’antisemitismo non aveva ancor raggiunto i livelli di brutalità e violenza della “vicina” Germania nazista, ma chiari segni premonitori lasciavano ormai presagire l’avvento delle leggi raziali.
Se il battesimo fu un espediente, imposto dalla necessità di salvare se stesso, la convinta scelta del sacerdozio, invece derivava dal desiderio di voler rompere con il mondo borghese da cui proveniva, per un ideale di una società più giusta, ma non con quell’ebraismo che trovava la massima espressione, anche se discreta e silenziosa , nella sua vita di ogni giorno, nella quale non si allontanerà mai dalla spiritualità della madre Alice Weiss, ai suoi occhi, modello insuperabile di ebraismo laico .
Don Lorenzo ha avuto la grande capacità di creare utopie, come dice Paolo Levrero, nel suo libro uscito nel 2013 “L’ebreo don Milani” (ed. Il Melangolo). La prima ed anche principale, che diede un tratto del tutto particolare al suo pensiero e all’intera sua vita, è quella di una fede giudeo-cristiana, strutturata nel retaggio ebraico, che, in vero, è una imponente contraddizione in termini ; la seconda è la sua scuola degli ultimi, in cui il maestro e gli allievi si emancipano liberandosi dai ruoli tradizionali, con una didattica lontana da ogni metodo, in cui maestro e allievo vanno insieme alla ricerca della conoscenza . Un insegnamento fondato, per un verso, sulla libertà assoluta e soggettiva, per altro verso improntato al metodo di studio alla “yeshivah” ebraica , la scuola rabbinica, dove i giovani vengono avviati allo studio del Talmud.
Il libro che la De Pasquale e la Lizzio hanno realizzato, con la loro felice collaborazione, ha la peculiarità di essere ricco di un amplissimo corredo di foto, anche inedite, elegantemente presentate al lettore, che hanno il merito di dare un volto ad un don Milani , ancora adolescente e poi giovane prete, ed anche a tutti quei componenti della sua famiglia che la componevano che tanto peso hanno avuto nella vita del priore di Barbiate; uomo, scrittore, sacerdote ed insegnante che ancor oggi affascina e divide.
Le sue opere “Esperienze Pastorali” una indagine sociologica della società italiana degli anni 50’, vista dall’osservatorio di una parrocchia e “ Lettere ad una professoressa” critica polemica sul sistema scolastico italiano, di metà del secolo scorso, che denuncia una prassi diffusa ed accettata che prediligeva istruire gli scolari provenienti dalle classi sociali più agiate, per trascurare sino a perdere, non solo di vista, i ragazzi che a causa della loro condizione sociale di appartenenza avevano certamente insormontabili difficoltà. Opere ormai risalenti alla metà del secolo scorso ma non per questo svuotate dalla loro iniziale capacità critica e propositiva.