Il ricordo del magistrato Giuseppe Salvo: “Borsellino mio maestro professionale e di vita” - QdS

Il ricordo del magistrato Giuseppe Salvo: “Borsellino mio maestro professionale e di vita”

Il ricordo del magistrato Giuseppe Salvo: “Borsellino mio maestro professionale e di vita”

Roberto Greco  |
mercoledì 19 Luglio 2023

Giuseppe Salvo, magistrato in quiescenza, ha mosso i suoi primi passi a Marsala nel periodo in cui Paolo Borsellino è stato Sostituto Procuratore Generale presso la Corte d'Appello di Venezia

Giuseppe Salvo, magistrato in quiescenza e già procuratore generale di Venezia ha mosso i suoi primi passi a Marsala nel periodo in cui Paolo Borsellino è stato Sostituto Procuratore Generale presso la Corte d’appello di Venezia. Il QdS l’ha intervistato per parlare di Paolo Borsellino e del suo periodo marsalese.

Dottor Salvo, quando è entrato in magistratura?
“Sono entrato in magistratura nel 1984 e, dopo un periodo a Mondovì, in provincia di Cuneo, arrivai a Marsala nel luglio 1987, procura nella quale rimasi sino al 1995. Da luglio 1987 a marzo 1992 lavorai a fianco di Paolo Borsellino, al tempo Procuratore della Repubblica di quella sede”.

Come sono stati gli anni marsalesi?
“Sono stati anni molto densi, di episodi che lei ben conosce. Anni cruciali che, sotto un certo punto di vista, sono stati esaltanti ma al tempo stesso drammatici o tragici per altri aspetti. Sono gli anni che hanno preparato l’esito dei tragici fatti del ’92. Una sorta di china calante che non è più stata in grado di risalire. Parlo dell’articolo di Sciascia dell’87, le vicende di Falcone dell’88, l’estate del ‘corvo’ dell’89, il fallito attentato all’Addaura, la nomina di Meli all’ufficio Istruzione di Palermo e altri inciampi. A tutto ciò aggiungo il convegno di Agrigento dell’estate dell’88, quando Borsellino denunciò pubblicamente lo smantellamento del patrimonio di conoscenze e di attività operative del pool, vicenda che finì al Csm e procurò l’intervento di Cossiga. Noi eravamo giovani sostituti del suo ufficio, pieni di entusiasmo e voglia di fare e siamo stati testimoni oculari di quegli anni”.

Paolo Borsellino non è stato solo il “suo” procuratore ma anche il suo mentore…
“Devo a Paolo Borsellino la mia formazione sia come magistrato sia come uomo. A parte il lavoro di quegli anni, nell’ufficio di Borsellino tra l’84 e l’85 avevo fatto i periodi di tirocinio. Quando iniziai il mio lavoro nella Procura di Marsala ero giovane, con pochi anni di esperienza sulle spalle. Affidarsi a Borsellino spianava qualsiasi ostacolo e risolveva ogni difficoltà”.

Il 4 luglio 1992 si tenne, in procura a Marsala, il saluto di Paolo Borsellino che, dal mese di aprile era stato trasferito a Palermo. Lo trovò cambiato?
“Quella fu l’ultima volta in cui lo vidi vivo. Quel 4 luglio era una persona quasi irriconoscibile. In solo quattro mesi lo trovai profondamente cambiato. L’onda lunga della strage di Capaci, mi disse, gli faceva temere di aver perso l’entusiasmo che lo caratterizzava. Lo trovai turbato e amareggiato. Rimasi molto colpito da quanto disse pubblicamente. Era un uomo alla ricerca di un’identità perduta, di un entusiasmo perduto. Al termine dell’incontro mi chiamò e, assieme alla moglie Agnese e al figlio Manfredi che lo accompagnavano, andammo in quello che era stato il suo ufficio. Parlammo e capii il suo disagio per l’ambiente della procura palermitana, per quanto lo circondava. Si era trovato proiettato in una realtà, disse, in cui faceva fatica a individuare da chi e da che cosa dovesse guardarsi prima, di chi si poteva fidare. Gli proponemmo un momento conviviale comune ma lui preferì rientrare a Palermo. Ci sentimmo telefonicamente il 17 luglio, al suo rientro a Palermo dall’interrogatorio di Mutulo a Roma. Fu un ultimo saluto”.

Come le arrivò la notizia della strage di via d’Amelio?
“Era un pomeriggio che stato trascorrendo con la mia famiglia. Mi arrivò la telefonata di un amico di mio padre. Arrivai verso le 18,30 in via d’Amelio, davanti a me trovai solo macerie fumanti… non c’era più niente. In quel momento, per me, si è rotto definitivamente qualcosa. Ancora oggi non riesco a fare i conti con quanto successo quel giorno, l’elaborazione del lutto e del dolore continua a essere un’impresa ardua”.

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