L'avvocato Trizzino: “Ecco perché i figli non parteciperanno alle iniziative di oggi” - QdS

L’avvocato Trizzino: “Ecco perché i figli non parteciperanno alle iniziative di oggi”

L’avvocato Trizzino: “Ecco perché i figli non parteciperanno alle iniziative di oggi”

mercoledì 19 Luglio 2023

Fabio Trizzino, marito di Lucia Borsellino: “Il senso di verità mancata sempre più pregnante, questa giornata è diventata divisiva”

L’avvocato Fabio Trizzino è il marito di Lucia, la figlia di Paolo Borsellino. Ha iniziato a seguire l’iter processuale sulla strage di via d’Amelio nel 2014 come semplice uditore sino a quando, nel 2019, è ufficialmente il co-difensore assieme all’avvocato Vincenzo Greco, di Fiammetta, Lucia e Manfredi Borsellino. Il QdS lo ha intervistato per parlare della ricerca della verità sulla strage.

Avvocato, anche quest’anno i figli del dottor Borsellino hanno deciso di non partecipare ad alcuna delle iniziative relative alla commemorazione della strage di via d’Amelio…
“La decisione di non partecipare si basa su due motivi. Il primo, strettamente intimo, è che il tempo, anziché lenire, ha accresciuto il senso e il dolore di questa perdita anche in ragione del fatto che i processi si accumulano e vanno avanti ma il senso di verità mancata è sempre più pregnante e preponderante. In questo momento riteniamo che la ricostruzione storica, più di quella giudiziaria, sia la via da perseguire. Il secondo motivo è che quest’anno si prospetta uno scenario di divisione. Si è trasformato un giorno che deve essere di unità e di intenti in una giornata divisiva, da qui un’ulteriore motivazione per i figli per non prendere parte ad alcuna manifestazione. Paolo Borsellino è una figura nazionale che appartiene a tutti e non riteniamo sia giusto che la c.d. antimafia militante ne faccia un simbolo proprio, come se il resto della collettività nazionale, che non si riconosce in questa militanza a volte eccessiva, non fosse parimenti interessata a ricostruire storicamente quanto successo in quella triste stagione della nostra Repubblica”.

I figli del dottor Borsellino, in questi trent’anni sono stati trattati molto male, anche dal punto di vista umano…
“Lo Stato ha cercato, al pari di ogni altra vittima di innocente di mafia, di essere vicina con la sua legislazione ma credo che il vero maltrattamento che i figli hanno subito sia avvenuto a livello istituzionale”.

Cosa intende?
“Mi riferisco, ad esempio, al Csm che ha deciso di non decidere rispetto alla legittima richiesta dei tre figli di fare luce sulle numerose anomalie che sono emerse a carico dei diversi magistrati che, dal 1992 al 2001, si sono avvicendati nella Procura, originariamente guidata da Tinebra, nella gestione delle indagini e soprattutto dei processi ‘Borsellino uno’ e ‘Borsellino due’ che, come ben sappiamo, sono crollati miseramente grazie alla collaborazione di Gaspare Spatuzza”.

Ancora oggi, nonostante le recenti sentenze passate in giudicato, mancano ancora pezzi e uno squarcio definitivo sulla verità…
“Già nelle motivazioni del ‘Borsellino ter’ si era dato ampio spazio, quale movente dell’accelerazione che ha portato alla strage di via d’Amelio appena 57 giorni dopo quella di Capaci, al rapporto dei Ros dei Carabinieri del 16 febbraio 1991. È evidente l’interesse del giudice Borsellino per quelle indagini che costituivano il vero punto d’incontro tra mafia imprenditoriale, comitati d’affari coinvolgenti le più importanti imprese nazionali e la politica. Paolo Borsellino, come emerge dai verbali del Csm mai riversati nei processi e, quindi, di fatto secretati, aveva capito, ce lo confermano le dichiarazioni di Antonio Di Pietro, quale fosse il nuovo fronte su cui la mafia, la grossa imprenditoria nazionale e la politica avevano concentrato la propria attenzione criminale. Se quel dossier fosse stato valorizzato, avremmo assistito a una manovra a tenaglia, da nord con il pool Mani Pulite e da sud con Paolo Borsellino, che avrebbe determinato il collasso rovinoso della Prima Repubblica. A mio giudizio questo costituisce il vero motivo per cui Borsellino doveva morire immediatamente. Riina non potè non dare seguito alla strage di via d’Amelio, perché si era reso conto che, venendo meno le coperture politiche e imprenditoriale di altissimo livello, anche per la mafia le cose si sarebbero messo molto male”.

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