Verrà, un dì verrà - QdS

Verrà, un dì verrà

Verrà, un dì verrà

Pino Grimaldi  |
sabato 05 Agosto 2023

I Romani, che non avevano né il calendario gregoriano né un “barba nera” che desse loro indicazioni varie, vivevano in un certo modo tranquilli. Calende erano primo giorno del mese, Idi la metà del mese (ma si spostava dal 13 al 15), le “none” che cadevano il 5 od il 7 dei vari mesi, poi le feriae Augusti (dal 18 aC) che appunto nel mese più caldo davano “vacanze varie” per riposo del popolo che, si può ben dire, era lavoratore: altrimenti non mangiava.
Poi venne il 1582 e Gregorio XIII che essendo Papa se ne stava tranquillo (non aveva aerei da salire e scendere), introdusse con la Bolla “Inter gravissimas” il suo calendario dopo che dal 46 aC regnava il “Giuliano”. Ci mise anche l’anno bisestile e fece dare un addio – ed in tutto il mondo – al modo di contare mesi e settimane, feste celebrazioni, e quant’altro. Secondo alcuni mise ordine, secondo altri complicò le cose.

Allo stato attuale siamo solo a far di conto con le stagioni che alterate come sono nel loro susseguirsi potrebbero indurre questo Papa – o altri a venire- a cambiarle nel loro ritmo di bello e cattivo tempo, nella denominazione e quant’altro. E se accadesse – stando agli ultimi anni e questo bene amato in particolare -forse verrebbe ben accolto: ma in Italia complicherebbe le cose e non so quanti governi occorrerebbero e di quanti variegati colori prima di raggiungere un accordo, ovviamente condiviso.
Parlo di tanto perché financo nella Italia unita, pare indissolubilmente, si fa fatica ogni giorno a capire cosa celebrare: tante sono gli avvenimenti accaduti nell’ultimo secolo. Senza considerare che la Chiesa Cattolica per ogni giorno ha da due a tre Santi cui elevare la memoria canonica.

Celebriamo tutto. E sempre con discorsi, manifestazioni, affermazioni apodittiche, promesse, impegni e quant’altro possa dare al popolo -che è stanco, in parte affamato e di certo non contento- la speranza che attraverso le sfilate, lo sventolio di bandiere, inni,canti ed applausi a non finire le cose cambino; e ferma restando l’invocazione cristiana per chi ricordiamo in tutti gli eventi che si commemorano con “pace all’anima sua”, ci si occupi di dar da mangiare attraverso salari adeguati a tutti (o a quanti più possibile) dando lavoro che pur nei sacrifici che comporta dia dignità e, perché no, gioia di vivere: merce ormai in disuso.

Peraltro per assicurare ciò abbiamo tantissimi organi istituzionali, alcuni dei quali con titoli altisonanti, qualcuno che ci guadagna e tanti ad attenderne – vanamente – le risoluzioni. Per fortuna nel Bel paese non usa far rivoluzioni come in Africa dove sono quotidiane se viste nei suoi 54 Paesi,e la nostra speranza è solo nel buon Dio che Papa Francesco ed altri Vicari di altre Religioni invocano nella speranza che qualcosa cambi: in meglio.

Avverrà di certo. Ma non si sa quando. Come la “ecoansia” di giovani ed ecologisti.

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