Una lite dal paninaro, l'obiettivo di una "punizione esemplare" e le rivendicazioni sul territorio di Catania: dopo l'operazione Ombra, rischio faida tra due importanti clan mafiosi etnei.
Un paio di occhiali che sparisce, le invettive del proprietario, l’invito a calmarsi. Poi, nel giro di poco, botte da orbi e un coltello che non si comprende se viene impugnato da una ragazza o se la stessa si limiti a passarlo al padre. Certo è che il colpo viene sferrato e se finisce per lacerare appena un giubbotto è soltanto per caso. Nelle cronache catanesi gli episodi di violenza non sono una novità, ma la rissa andata in scena, a marzo dell’anno scorso, nel piazzale antistante la stazione ferroviaria avrebbe potuto essere l’inizio di una faida all’interno della criminalità organizzata. A contrapporsi, infatti, sono stati un paio di esponenti del clan Cappello e alcuni rivenditori di panini imparentati con Salvatore Santapaola, cugino del boss Nitto e noto come Turi Coluccio.
Il racconto dell’accaduto è finito agli atti dell’inchiesta che mercoledì ha portato in carcere anche Francesco Russo, colui che avrebbe retto le redini di Cosa nostra etnea negli ultimi due anni.
Dietro lo scontro tra i clan Cappello e Santapaola
Principali protagonisti dello scontro fisico a piazza Giovanni XXIII sono stati Franco Raccuglia, cognato del boss Turi Coluccio, e Mario Privitera, il cui padre Orazio trascorre l’ergastolo in regime di 41 bis. La ricostruzione dei fatti riportata nell’ordinanza di custodia cautelare risente inevitabilmente delle versioni fornite dalle due parti avverse. Ciò su cui che sembrano non esserci dubbi è il fatto che a rimanere feriti sono stati componenti di entrambi i gruppi.
Nei giorni successivi a fare da narratore inconsapevole è Daniele Strano, l’uomo che, nel ruolo di responsabile del gruppo dei Santapaola che controlla la zona della stazione, viene investito dell’arduo compito di mediare tra le richieste provenienti dalle due parti: i familiari del boss Coluccio si aspettano adeguata protezione, i Cappello reclamano un intervento sanzionatorio dicendosi pronti altrimenti ad agire in autonomia.
“Gli hanno detto che non possono aprire il camion, lo devono tenere chiuso qua”, riferiscono a caldo a Strano, riferendo la chiara intimidazione rivolta dai Cappello. Un affronto che per Strano, al di là chi abbia ragione e chi torto, sarebbe stato impossibile da accettare. “Gli ho detto: ‘State uno a uno e palla al centro’. Però, come ti permetti tu a chiudere l’attività alla stazione? Se vengo al Passarello (zona del quartiere San Cristoforo controllata dal clan Cappello, ndr) e ti chiudo l’attività, che fate?”, dice Strano ai propri sodali, raccontando l’esito di un incontro con i rappresentanti della cosca avversaria. Ai Cappello, però, l’idea di mettere una pietra sopra all’accaduto non va giù.
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Cercansi picchiatori
“Se vuoi accupari a cosa (se vuoi sedarla, ndr), li prendete, ce li portate qua alla stalla e voi stessi ci date la soddisfazione che davanti a noi lo picchiate”. È questa la condizione posta dai Cappello a Strano. Un’evenienza, quella di sanzionare persone in qualche modo vicine al clan ritenute colpevoli di mancanze di rispetto, che non è inusuale all’interno della criminalità organizzata.
Nel caso specifico, però, davanti a Daniele Strano si palesa una decisione non semplice: a dover essere picchiato sarebbe il familiare di un boss di primo piano della famiglia Santapaola. Il rischio, per il responsabile del gruppo della stazione, è di ritrovarsi successivamente a dover fare i conti con i propri superiori.
“Però non ti può dire questa minchiata, giusto? Ti porto un fratello mio per dargli botte?”, commenta Salvatore Iudicello, arrestato nel blitz, parlando con Strano. Quest’ultimo però lo corregge: “No, dice: ‘Lo porti e glieli dai tu’”.
I Cappello dal canto loro erano stati chiari: “Se non può essere che voialtri li potete portare, sappi che, due giorni di tempo per la risposta, noialtri poi facciamo azione”. Tradotto: agiamo di testa nostra. “Ci litighiamo, si apre una faida”, rimarca Strano.
Sono passate circa 36 ore dai fatti, quando all’interno dei Santapaola si ragiona sul da farsi. E in particolare su chi se la sentirebbe di prendersi l’onere di mettere le mani a dosso al paninaro sposato con la cugina di Nitto Santapaola. “Se loro domani dicono sì, prendiamo e gli dobbiamo dare due schiaffi forti, davanti a lui, due pugni”, ragiona Strano. Per poi rivolgersi a un sodale: “Però fallo tu perché con Franco hai confidenza, perché lo non ce la faccio”. L’uomo però non è d’accordo: “No, glielo facciamo fare a uno che non ha confidenza con lui”. A provare districare la matassa arriva un terzo, da poco entrato nel clan e probabilmente desideroso di mettersi in vista: “Io gliele posso dare”. Non è chiaro, tuttavia, se la punizione esemplare richiesta dai Cappello per evitare più gravi ripercussioni abbia avuto luogo oppure se alla fine abbia trionfato la diplomazia.