Ambientalisti: “Fanghi tossici minacciano l'avifauna". Arriva l'esposto su una situazione denunciata da tempo.
Vecchi pneumatici, bottiglie, parti meccaniche di vecchie imbarcazioni, plastiche. In questa sequenza di rifiuti, a Mazara del Vallo, si condensa la superficie di una vicenda che negli ultimi anni ha più volte ottenuto l’attenzione della stampa locale per poi scivolare puntualmente sullo sfondo, ma senza che ciò che abbia significato la risoluzione della disputa che contrappone istituzioni e ambientalisti sui lavori di ripristino dei fondali del porto canale.
Nel mirino di chi teme che il progetto, del valore di alcuni milioni di euro, portato avanti dal commissario per il rischio idrogeologico possa compromettere l’habitat costiero che nel tempo si è formato in quella che oggi è conosciuta come laguna di Tonnarella c’è la gestione dei fanghi prelevati dalla foce del fiume Mazaro e nel primo tratto antistante il porto.
Per gli uffici, il materiale sin qui portato a terra dai mezzi potrà essere immerso nei fondali della cosiddetta Colmata B, un’area che in passato si credeva potesse essere totalmente prosciugata e ricoperta per consentire l’espansione del porto verso occidente e che invece, complici anche gli intoppi che nei decenni si sono susseguiti, è diventata una zona di elevata importanza per l’avifauna acquatica – fenicotteri compresi – che lì va a svernare e riprodursi. Gli ambientalisti, però, da anni danno battaglia e, nelle ultime settimane, sostenuti da un nutrito gruppo di cittadini, hanno depositato un esposto alla procura di Marsala chiedendo di fare chiarezza sulle presunte zone d’ombra che hanno sin qui caratterizzato i lavori.
La gestione di rifiuti e fanghi a Mazara del Vallo, la denuncia
“La ditta che sta operando sa bene che quei rifiuti vanno al più presto portati in discarica e che lì non possono rimanere. L’ho già ribadito più volte”. A parlare al Quotidiano di Sicilia è Pietro Viviano, direttore dei lavori per il dragaggio del porto. Sta a lui controllare, nell’interesse della stazione appaltante, che l’impresa esegui correttamente le operazioni. L’appalto – dopo la rescissione del contratto con il primo aggiudicatario e la rinuncia della ditta arrivata seconda – è stato affidato alla Ares, società amministrata da Renato Crifò ma di proprietà per il 90% di Antonina Buzzanca, moglie dell’imprenditore Antonino Mollica di Gioiosa Marea.
Per il direttore dei lavori, l’andamento del cantiere è in linea con quanto previsto: “Da qualche mese i mezzi sono fermi nel rispetto di una prescrizione contenuta nella valutazione d’incidenza ambientale, che prevede lo stop nei periodi estivi, e perché sarà necessaria una perizia di variante per adattare quanto dovrà essere fatto alla modifica dei fondali causati dal marrobbio, il fenomeno che da queste parti modifica il livello del mare”, spiega Viviano. Per l’ingegnere, invece, non ci sono dubbi sulla correttezza della gestione dei fanghi: “Attualmente sono visibili in due vasche, a lavori completati circa 40mila metri cubi verranno rimessi nei fondali, previa impermeabilizzazione che impedirà la loro dispersione, mentre gli altri 30mila saranno utilizzati per appianare le stesse vasche”.
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La presunta tossicità
A non accettare un epilogo del genere sono però i cittadini e gli ambientalisti che si sono rivolti alla procura. “Dalle analisi dei sedimenti portuali solo i fanghi classificati in B1 potrebbero essere conferiti nell’area di stoccaggio”, si legge nell’esposto. I firmatari fanno riferimento a uno studio del 2014, realizzato dal Cnr di Capo Granitola, da cui risultò che i fanghi contenessero concentrazioni di elementi inquinanti da dover essere collocati anche nelle classi – meno idonee – B2 e C1. “A quello studio nel 2019 ne è seguito un altro che si è occupato soltanto di analizzare i fondali per una profondità limitata dando risultati anche in classe A”, commenta Viviano.
Una tesi che è fortemente osteggiata dagli ambientalisti: nel lungo esposto inviato alla procura guidata da Fernando Asaro vengono ripercorsi anche i contenuti di alcune riunioni a cui ha preso parte il referente dell’associazione Pro Capo Feto e, più in generale, viene messa in discussione la validità di analisi che sarebbero state realizzate in maniera inadeguata.
Stando però al direttore dei lavori, tuttavia, ogni polemica sarebbe superflua. “I fanghi che al momento sono stoccati sono anche di classe C ma ciò non costituisce alcun problema, perché la normativa di settore regolata dal decreto ministeriale 173 del 2016 prevede la deposizione in bacini di contenimento che assicurino il trattenimento delle frazioni del sedimento sul fondo”. Anche in questo caso, però, il punto di vista degli ambientalisti è diametralmente opposto.
“Sulla movimentazione dei sedimenti portuali o sull’immersione dei materiali da escavazione portuale valgono sempre le indicazioni del codice dell’Ambiente – dichiara uno dei firmatari dell’esposto a questa testata –. Per riuscire a depositare nei fondali i fanghi in classe B2 e C1, come emerge dagli stessi documenti prodotti dagli uffici del Commissario per il rischio idrogeologico, ci si sta avvalendo di un’ordinanza della Protezione civile nazionale emessa nel 2018 per fronteggiare le emergenze seguite alle alluvioni. Nulla che abbia a che vedere con l’appalto a Mazara del Vallo, a riprova di come tutto l’iter abbia subìto forzature su cui speriamo le autorità faranno luce”.
Il mistero del sopralluogo dei carabinieri
In questa storia intricata non manca anche un piccolo giallo. Riguarda un sopralluogo che i carabinieri della sezione Cites avrebbero effettuato sul cantiere nel mese di marzo, dopo il quale le attività degli operai non sarebbero più riprese. La vicenda è ricostruita anche all’interno dell’esposto, anche se sul posto non risultano essere stati apposti dei sigilli.
“Non sono a conoscenza di alcun arrivo da parte delle forze dell’ordine, come ho già detto il cantiere si è fermato in estate per rispettare le prescrizioni ambientali”, conclude il direttore dei lavori Pietro Viviano.
Questo è uno degli equivoci più grotteschi della storia dei lavori pubblici siciliani. Non esiste, non è mai esistita una ‘laguna di Tonnarella’. Nessun atlante la ha mai riportata, nessuna pubblicazione sui luoghi ne ha mai parlato. Si tratta, in realtà di un’area di colmata portuale, destinata, da piano regolatore portuale vigente, a ‘piazzale per attività portuali’ ed a sedime per la strada di giunzione tra lo scalo marittimo ed il raccordo sopraelevato con l’autostrada A 29 Palermo-Mazara del Vallo, già realizzato. Nelle more del completamento della colmata, da realizzarsi anche, secondo norma, con il conferimento dei detriti del dragaggio del porto canale, drammaticamente urgente sia per restituire operatività all’invaso portuale interno, sia per prevenire l’insidia del ‘marrobbio’, il virulento fenomeno locale (il dragaggio in corso è a cura del Commissario regionale per il dissesto idrogeologico) l’area si presenta parzialmente allo stato di specchio acqueo, e questo fa sì che, di tanto in tanto, uccelli selvatici diretti o provenienti dalla vicinissima palude di Capo Feto, area protetta, planino al suo interno. Questo è bastato ad un gruppuscolo ambientalista locale ad opporsi ad un opera prevista, necessaria ed urgente che tutta la città attende ormai da anni, e vitale per rilanciarne un’economia da sempre basata sul mare, oggi letteralmente strangolata dal deficit infrastrutturale. Non è l’unico equivoco sulla vicenda: non è corretto, per esempio, scrivere che gli ambientalisti si oppongono: le articolazioni cittadine di Legambiente e WWF non hanno mai condiviso la posizione dell’Associazione Pro Capo Feto che dovrebbe avere a cuore l’omonima palude il cui stock faunistico oggi è cannibalizzato dalla Colmata. E si capisce: l’opera è prevista dallo strumento regolatore portuale, contemplato da quello urbanistico, addirittura paesaggistico, ancorchè severissimo ed impugnato dai comuni vicini. Ma a Mazara la destinazione portuale del tratto costiero in questione non è messo in discussione. Nel frattempo, però, altri gravi inconvenienti si accumulano: il pantano è naturalmente, un ricettacolo di zanzare, adiacente il più popoloso quartiere cittadino, la popolazione è ormai disperata. Nell’inerzia si è pure sviluppata una vegetazione sempre più invadente e disordinata che aggiunge degrado a degrado. Nulla di tutto questo sembra importare agli autori di un esposto che, a quanto si legge, appare tento corposo quanto infondato, non avendo sortito effetto alcuno. Salvo far scorrere il tempo. Nel frattempo le attività chiudono, la gente emigra, la città muore. Ma vuoi mettere avere 8 zone destinate all’avifauna in città invece di 7 appena? Per soddisfare gli impegni assunti dalla convenzione RAMSAR sulla tutela dell’avifauna, fatta a Teheran nel 1971, l’Italia si era impegnata ad istituirne almeno una. Una in tutto il Paese…