Appalti pubblici, Anac: senza gare aperte mancati risparmi per oltre 300 milioni - QdS

Appalti pubblici, Anac: senza gare aperte mancati risparmi per oltre 300 milioni

Appalti pubblici, Anac: senza gare aperte mancati risparmi per oltre 300 milioni

Simone Olivelli  |
mercoledì 30 Ottobre 2024

L’assenza di trasparenza costa cara alla Pubblica amministrazione: minori ribassi con gli affidamenti diretti

PALERMO – Non solo maggiore discrezionalità negli affidamenti ma anche un maggiore costo per le casse pubbliche. Al netto dei distinguo e dagli inviti a tenere conto che si tratta di riflessioni di massima, dal report dell’Autorità nazionale anticorruzione (Anac) dedicato all’andamento dei ribassi nelle gare d’appalto registrato negli ultimi anni viene fuori la fotografia di un sistema che, in nome della velocizzazione delle procedure di affidamento, ha accettato di andare in contro a una maggiore spesa.

Il settore degli appalti sotto la lente dell’Anac

Lo studio di Anac si basa sull’analisi del settore degli appalti – declinato nei tre rami di lavori, servizi e forniture – tra il 2017 e il 2023. Sei anni divisi da uno spartiacque rappresentato dalle progressive modifiche alle norme che regolano i contratti pubblici. A partire dal 2020, quando in piena pandemia da Covid-19 l’allora governo Conte II – sostenuto da M5s, Pd, Leu e Italia Viva – varò il primo decreto Semplificazioni. Con quel provvedimento vennero innalzate le soglie che consentivano alle stazioni appaltanti di procedere agli affidamenti diretti, portandole da 40mila euro a 75mila euro per servizi e forniture, mentre nel caso dei lavori da 40mila a 150mila.

Il nuovo codice degli appalti

Nella primavera dell’anno successivo, quando a sedere a Palazzo Chigi era il governo tecnico guidato da Mario Draghi, un secondo decreto Semplificazioni elevò ulteriormente la soglia per gli appalti di servizi e forniture fino a 139mila euro. La cornice legislativa è stata poi rivoluzionata l’anno scorso dal nuovo codice degli appalti approvato dal governo di centrodestra, guidato da Giorgia Meloni. La riforma, in questo caso, ha riguardato l’ampliamento delle possibilità per le stazioni appaltanti di rinunciare alle procedure aperte, ovvero quelle in cui tutte le imprese aventi i requisiti possono presentare offerta, a favore delle procedure a inviti, in cui il numero dei partecipanti quasi mai supera la quindicina e viene selezionato dalla stazione appaltante.

Lo studio dell’Anac fotografa l’evoluzione della media dei ribassi tra il quadriennio 2017-2020, quello precedente alle modifiche legislative, e il triennio 2021-2023. Il quadro che ne viene fuori descrive una riduzione delle percentuali di ribasso nelle offerte presentate dalle imprese alla pubblica amministrazione. “Nel periodo considerato è stato osservato un calo del valore medio dei ribassi da circa il 9 per cento a poco più del 7 per cento, guidato prevalentemente da una forte riduzione dei ribassi nei contratti ad oggetto lavori. Parallelamente – si legge nelle conclusioni del rapporto – è stato rilevato un cambiamento nelle modalità di scelta del contraente adottate dalle stazioni appaltanti, al quale corrisponde un sempre maggiore utilizzo dell’affidamento diretto. Sulla base di tali osservazioni, sono state fornite delle stime preliminari e approssimative del mancato risparmio che si assesta su cifre superiori a 300 milioni di euro. Tuttavia, si tratta solo di un punto di partenza per future analisi che possano stabilire un nesso causa-effetto tra i cambiamenti legislativi e il maggiore utilizzo degli affidamenti diretti in seguito all’entrata in vigore degli stessi”.

Gare con meno ribassi

Spostando lo sguardo ai singoli dati raccolti dalla Banca dati nazionale dei contratti, si comprende come le nuove norme abbiano spinto il settore privato che lavora con il pubblico – dagli enti statali alle Regioni, fino ai Comuni e alle società partecipate – a calarsi nella nuova cornice delle regole, ricavandone la possibilità di aggiudicarsi appalti per importi più elevati rispetto al passato. E per quanto la riflessione non possa non tener conto anche di altri fattori, come l’andamento del mercato delle materie prime condizionato da fattori geopolitici come il conflitto bellico scoppiato a febbraio del 2022 in seguito all’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, sarebbe un errore non correlare la riduzione dei ribassi alle nuove modalità con cui da Nord a Sud vengono gestite le gare d’appalto.

Il tipo di procedura, infatti, inevitabilmente influenza la scelta del ribasso economico da presentare: dover superare la concorrenza di centinaia di società porta le singole imprese a promettere un risparmio maggiore alla pubblica amministrazione, mentre di contro sapere di avere soltanto un limitato numero di avversari consente di cercare di aggiudicarsi la gara offrendo uno sconto minore rispetto alla base d’asta. Nel caso degli affidamenti diretti, poi, la trattativa diretta porta quasi sempre a chiudere l’accordo a un prezzo di poco inferiore a quello proposto dalla stazione appaltante.

La conferma arriva dai numeri: nel settore dei lavori, tra il 2017 e il 2020, quando l’affidamento diretto poteva riguardare lavori di valore inferiore a 40mila euro, le aggiudicazioni con questa formula hanno rappresentato il 34,19 per cento dei contratti; nel triennio successivo, invece, la percentuale è salita al 77,55 per cento. Di contro sono crollate le procedure aperte: si è passati, infatti, dal comunque basso 5,22 per cento del quadriennio 2017-2020 all’appena 1,31 per cento del periodo 2021-2023. Per le procedure negoziate senza pubblicazioni del bando (le gare a inviti, ndr), si è registrato un netto calo, passando dal 52,29 al 20,14 per cento.

Lo stesso trend si è registrato anche nel settore dei servizi e delle forniture. Nel primo caso, gli affidamenti diretti sono passati 37,74 al 70,16 per cento; le gare aperte dal 9,06 al 4.05 per cento e le procedure a inviti dal 46,91 al 24,41 per cento. Nel secondo, invece, i dati dicono che gli affidamenti diretti nel settore forniture sono aumentati dal 22,28 al 44,95 per cento, le gare aperte sono passate dal 16,58 al 14,74 per cento e le gare a inviti dal 44,84 al 32,62.

Per quanto riguarda le procedure negoziate senza pubblicazione del bando, va sottolineato come è molto probabile che nel prossimo futuro il monitoraggio dell’Anac possa registrare un picco di scelte da parte delle stazioni appaltanti, sulla base delle novità introdotte con il nuovo codice degli appalti entrato in vigore soltanto nell’estate scorsa e che consente fino a importi di oltre cinque milioni la possibilità di rinunciare alle gare aperte.

Le offerte di sconto crollano invece negli affidamenti diretti

Spunti di riflessione arrivano anche dalla media dei ribassi aritmetici registrata in questi anni. Il dato abbraccia interamente i sei anni compresi tra il 2017 e il 2023, ma conferma la tesi secondo cui sono le gare aperte quelle a garantire alla pubblica amministrazione di risparmiare: a fronte di un ribasso medio in Italia del 20,68 per cento nelle procedure aperte a tutte le imprese aventi i requisiti, nelle gare a inviti si è registrato un dato del 15,69 per cento. Le offerte di sconto crollano invece negli affidamenti diretti: le ditte a cui le stazioni appaltanti si rivolgono, senza sondare il mercato, hanno offerto un ribasso medio del 7,98 per cento.

Se si analizzano i ribassi per settore degli appalti, si scopre invece che se nel caso di forniture e servizi dal 2017 si è avuto un progressivo seppur lieve aumento dei ribassi, per quanto riguarda i lavori le percentuali sono di anno in anno diminuite. Tenendo conto di tutte le tipologie di procedura indette, si è passati dal 18,40 per cento del 2017 al 6,46 per cento del 2023. “Il forte calo dei ribassi nelle procedure ad oggetto lavori ha comportato una potenziale riduzione nei risparmi pari a 457,24 milioni di euro se si considera la media aritmetica dei ribassi”, si legge nel rapporto dell’Anticorruzione.

Ance Sicilia lancia l’allarme: quasi l’80% dei lavori aggiudicato con procedura a inviti

L’allarme che già diversi anni fa, ancor prima delle modifiche legislative in materia di contratti pubblici, era stato lanciato da molti imprenditori sembra avere varcato la soglia delle istituzioni e delle associazioni di categoria: il settore degli appalti in Sicilia risente di una compressione sia in termini di concorrenza che di costi per la pubblica amministrazione. A dirlo qualche settimana fa è stata Ance Sicilia, l’associazione che riunisce i costruttori edili. Ora la conferma indiretta è arrivata dallo studio dell’Autorità nazionale anticorruzione sull’andamento dei ribassi che in Italia si sono registrate tra il periodo 2017-2020 e il triennio 2021-2023.

Se la fotografia che viene fuori – è sempre bene ricordarlo – non descrive la fuoriuscita da un ipotetico Eden, è altrettanto vero che negli ultimi anni, complici prima i decreti Semplificazioni approvati tra il 2020 e il 2021 dai governi Conte II e Draghi e poi la riforma del codice dei contratti, le criticità che storicamente contraddistinguono le procedure di affidamento dei lavori, dei servizi e delle forniture si sono ulteriormente acuite. E ciò riguarda indiscriminatamente gli appalti indetti da Stato, Regioni, Comuni e tutti gli enti che sono tenuti a rifarsi alla disciplina dei contratti pubblici. Qualche giorno fa, il tema è stato al centro di una seduta del Consiglio generale di Ance Sicilia, presieduto da Santo Cutrone, e a cui ha preso parte anche il vicepresidente nazionale dell’associazione Domenico De Bartolomeo. L’occasione è servita per ribadire la necessità da parte di Ance di spingere affinché le istituzioni prendano atto del bisogno di tornare a intervenire sul codice degli appalti, che – si legge in una nota divulgata dopo la seduta – “non ha risolto il problema della concorrenza negli appalti e quello della revisione prezzi”.

In Sicilia, così come nel resto delle regioni, l’aumento delle possibilità concesse alle stazioni appaltanti di indire gare a inviti o addirittura procedere con gli affidamenti diretti, al posto delle procedure aperte, ha portato a una riduzione dei ribassi proposti. Ciò significa, per la pubblica amministrazione, la perdita di potenziali risparmi rispetto ai costi di realizzazione delle opere.

Al contempo – ed è questo il punto su cui Ance ha iniziato a battere con insistenza – diminuire le gare aperte significa anche soffocare il mercato, riducendo drasticamente le opportunità per le imprese edili di lavorare con il pubblico. “È ormai prassi che, per le opere di importo compreso fra un milione e 5,538 milioni di euro, le stazioni appaltanti preferiscano ricorrere alla procedura negoziata, prevista dal nuovo Codice dei contratti pubblici, alla quale viene invitato un numero ristretto di imprese scelte da un elenco, sfuggendo così alla libera partecipazione del mercato e ad ogni possibilità di controllo preventivo dei criteri utilizzati per la selezione delle imprese”, ha ribadito Ance Sicilia a margine della riunione del Consiglio generale. Stando ai dati dell’associazione, nei primi sei mesi del 2024, il 77 per cento dei lavori di importo tra un milione e 5,538 milioni (la soglia comunitaria sopra la quale l’Ue impone la gara aperta, ndr) si è aggiudicata con una procedura a inviti. Per Ance è anche una questione di trasparenza: “Di queste procedure si ha notizia solo dopo l’aggiudicazione o addirittura solo successivamente, in occasione del pagamento di stati di avanzamento dei lavori”, si legge nella nota.

La ridotta trasparenza rappresenta un terreno fertile anche per la corruzione e i tentativi di infiltrazione della criminalità organizzata nel settore dei lavori pubblici. A dirlo sono le non poche inchieste aperte in questi anni dalle procure dell’isola, ma anche la storia giudiziaria: è in Sicilia che a metà anni Novanta fu coniato, dal boss Angelo Siino, definito il ministro dei lavori pubblici di Cosa nostra, il concetto di tavolino degli appalti.

Chi lavora nel settore dei lavori pubblici sa anche che la discrepanza si registra in tutta Italia tra i ribassi offerti nelle gare aperte e quelle nelle procedure negoziate – tra il 2017 e il 2023, rispettivamente 20,68 e 15,69 per cento – in Sicilia è ancora più marcata: “Basta guardare i verbali di gara, perlomeno quelli che vengono pubblicati, per accorgersi come da noi le percentuali di aggiudicazione nelle gare aperte si attesta poco sotto il 30 per cento, mentre nelle gare a inviti le percentuali si aggirano quasi sempre intorno al 10 per cento”, rivela al Quotidiano di Sicilia un imprenditore che chiede di rimanere anonimo.

Dal canto proprio, Ance ha deciso di rivolgersi anche al governo Schifani. In una lettera inviata all’assessore ai Lavori pubblici, Alessandro Aricò, l’associazione ha chiesto che la Regione si impegni a sollecitare le stazioni appaltanti a preferire la procedura aperta alle altre. “Questa procedura di gara risulta più trasparente e, nella maggior parte dei casi più veloce, a garanzia sia degli amministratori pubblici che degli imprenditori”, sottolinea Ance.

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